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Le specie aliene, in particolare le cosiddette invasive, risultano tra le potenziali principali minacce al concetto di Biodiversità a livello mondiale. Quali le conseguenze per il Mediterraneo?

di Daniele Tibullo

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”1831″ content_image_size=”full” lightbox_size=”full” content_title=”Specie aliene: una minaccia per la Biodiversità” attribute_alt=”false” content_image_responsive=”true” content_image_height=”height: 100%;” content_image_width_r=”100″ content_image_width_f=”300″ lightbox_group=”true” lightbox_effect=”fade” lightbox_backlight=”auto” lightbox_backlight_color=”#ffffff” margin_top=”0″ margin_bottom=”20″]

Per approfondire il tema dell’articolo è utile ricordare, prima di tutto, il concetto di Biodiversità. Questo termine, in realtà, include un significato essenzialmente “olistico”, un senso di globalità, in quanto comprende non solo semplicemente l’insieme delle specie e la diversità genetica presente all’interno di ogni singola specie, ma anche la diversità dei vari habitat ed ecosistemi.
Le specie viventi non sono distribuite uniformemente sul nostro pianeta, diversi fattori determinano la presenza e l’abbondanza delle varie specie in talune aree. Essendo ogni specie fortemente legata a un determinato ambiente (risorse, siti per la riproduzione, presenza di nascondigli, fattori chimico-fisici, ecc…), questa, in genere, si troverà sempre associata a quel determinato habitat. Uno dei fattori che più influenza la biodiversità su scala globale è la latitudine: infatti, in linea di massima, la diversità in specie aumenta andando dai poli verso l’equatore. Ciò è dovuto, principalmente, al fatto che la stabilità climatica e la presenza di energia solare risultano essere massime nelle zone equatoriali, permettendo quindi la coesistenza a un maggior numero di specie, che si sono adattate, specializzandosi nel tempo, ad ogni tipologia di habitat e microhabitat disponibile. Esistono tuttavia, sparse per il mondo, aree ad alta biodiversità indipendentemente dall’effetto della latitudine. Tali aree sono note con il nome di “centri di endemismo”. Il Mediterraneo rappresenta proprio uno di tali siti, conosciuti anche con il nome di “hotspot” di biodiversità (Myers et al. 2000). Si può facilmente considerare che, sebbene il nostro Bacino rappresenti una superficie marina poco estesa (0,82%) se paragonata alla superficie marina globale, esso accoglie un’elevata biodiversità e ospita molte specie endemiche (il 28% sul totale secondo Fredj et al., 1992). A questo punto, ritorniamo al concetto di specie aliena. Secondo il World Conservation Union (IUCN) (2002), una specie aliena (esotica, non nativa, non indigena, alloctona) è un’entità biologica che occupa un ambiente al di fuori del suo naturale range di distribuzione, ovvero un ambiente che non avrebbe mai occupato senza l’introduzione diretta o indiretta ad opera degli esseri umani. Lo scambio di risorse tra parti distanti della Terra per via marittima è in costante aumento ed è questo che ha determinato, in diversi casi, l’aumento delle invasioni di specie aliene.
Dal momento che gli esseri umani hanno cominciato a solcare i mari, molte specie hanno viaggiato in tutto il mondo con loro. I documenti storici e reperti archeologici dimostrano che i velieri dei primi esploratori furono colonizzati fino da 150 diversi organismi marini che vivevano o in scafi di legno, o che colonizzavano le parti metalliche come le catene di ancoraggio. Non sorprende allora che molte specie, come le Teredo navalis, si trovino ampiamente diffuse nelle acque di tutto il mondo. Tuttavia, non è possibile determinare con certezza se queste specie erano già cosmopolite prima dei viaggi europei, alla scoperta di nuove terre. È invece certamente noto, tuttavia, che gli esseri umani hanno contribuito alla diffusione di molte specie. Un numero crescente di organismi marini vengono trasportati negli oceani a causa della globalizzazione, il commercio e il turismo. L’acqua di zavorra utilizzata per stabilizzare la nave durante la navigazione, da sola, è responsabile del trasporto di diverse specie tra regioni geograficamente molto distanti. La maggior parte di queste specie muoiono durante il viaggio, mentre le poche sopravvissute sono in alcuni casi in grado di riprodursi con successo e formare una nuova popolazione, a volte anche invasiva.
Un’altra causa che contribuisce alla dispersione degli organismi marini al di fuori dei loro normali areali di distribuzione è il commercio di organismi per l’acquacoltura, acquari e industria alimentare.

Il mar Mediterraneo rappresenta a oggi l’area più interessata dal fenomeno. Diverse specie, provenienti dal Mar Rosso, sono giunte nelle nostre acque tramite il canale di Suez, aperto nel 1869. In letteratura, queste specie prendono il nome di “specie lessepsiane” (dal nome di Ferdinand De Lesseps, promotore ed esecutore del progetto del Canale di Suez). Tuttavia, altre specie di origine tropicale, sono entrate nel nostro bacino tramite Gibilterra e, molte di esse, a carattere invasivo, sono ormai ampiamente diffuse e formano popolazioni stabili e in espansione in diverse aree mediterranee. Il nostro bacino quindi si può considerare diviso in due grandi “regioni biologiche”: una occidentale che risente per prima e in maggior misura dell’ingresso di specie aliene che entrano da Gibilterra e una orientale, caratterizzata, invece, da un costante arrivo di specie tropicali provenienti dal Mar Rosso. L’Italia, trovandosi nel mezzo del Mediterraneo, è stata interessata negli anni, e continua ad esserlo, da un’ invasione biologica di specie aliene, provenienti sia dalla parte occidentale del bacino, sia da quella orientale. Recentemente, la Sicilia, posta al centro del Bacino, ha infatti subito l’ingresso di specie ittiche provenienti sia dall’Atlantico che dal Mar Rosso. Ne è esempio del primo caso il Grugnitore bastardo (Pomadasys incisus), segnalato in acque ioniche della Sicilia sudorientale per la prima volta nell’estate del 2013 (Tiralongo & Tibullo, 2013); esempio del secondo caso è invece il Pesce palla maculato o Pesce palla argenteo (Lagocephalus sceleratus), le cui carni sono potenzialmente letali per l’uomo se ingerite, che ha fatto il suo ingresso in acque ioniche italiane in tempi ancora più recenti, nel Gennaio 2014 (Tiralongo & Tibullo, 2014). Questo pesce, assieme a pesci palla di altre specie, nonostante abbiano ucciso un certo numero di persone sia in Europa che in altri continenti, viene consumato in Giappone sotto al nome di fugu, ma deve essere preparato da cuochi esperti e che abbiano ottenuto una speciale licenza da parte dello Stato.
Per citare qualche invertebrato alloctono, possiamo ricordare il Granchio corridore atlantico (Percnon gibbesi), segnalato per la prima volta in acque mediterranee nel 1999 (Relini et al., 2000) e ormai ampiamente diffusosi e presente in diverse aree mediterranee. La lepre di mare maculata (Aplysia dactylomela), segnalata in Mediterraneo per la prima volta nel 2002 (Trainito 2003), risulta adesso essere ampiamente diffusa ed è divenuta una specie abbastanza comune in Sicilia.
Quale sia l’effetto sulla biodiversità mediterranea dovuto all’ingresso di queste specie è ancor oggi imprevedibile. In diverse aree del pianeta, l’introduzione, volontaria o accidentale di specie alloctone, ha spesso avuto effetti devastanti e imprevedibili per l’ecosistema. La questione conservazione della biodiversità, dal punto di vista scientifico, presenta ancora numerose lacune, dovrebbe essere interdisciplinare e dovrebbe sempre coinvolgere, in una stretta cooperazione, le varie scienze, da quelle naturali/biologiche a quelle socio/economiche e politiche.

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