Un avveniristico progetto di matrice biologica consente a Marevivo di reimpiantare sulla Haven il corallo nero estirpato. Ne parliamo in dettaglio con Massimiliano Falleri, responsabile nazionale della Divisione subacquea della nota Associazione ambientalista.
A cura della Redazione. Foto in apertura e panoramiche relitto di Marco Mori. Altre foto di Cristina Freghieri.
Il fatto: a seguito dell’avvenuta estirpazione accidentale di una colonia di corallo nero (corallo nero Mediterraneo, alias Antipathella subpinnata) che cresceva sulla Haven, causa un’incauta rete da pesca strascicata in zona o una lenza, la divisione subacquea di Marevivo sta curando un’operazione complessa ma molto promettente per riposizionare l’organismo marino proprio dove si trovava, in modo che possa riprenderne la crescita.
Detta così sembra perfino facile; ma non lo è per niente. Si tratta comunque di un’operazione di salvataggioche ha pochi e punti precedenti di questo genere al mondo. Anche se si annuncia molto promettente. Ce ne racconta dettagli e retroscena Massimiliano Falleri in persona.
Dr. Massimiliano Falleri, com’è nata quest’idea?
«Come spesso capita nelle nostre operazioni di recupero e bonifica, l’idea parte da una segnalazione; forse l’elemento iniziale e fondamentale per il nostro lavoro. La segnalazione questa volta ci è arrivata da due subacquei assidui frequentatori del relitto, Cristina e Andrea, che durante una dello loro numerose immersioni hanno trovato il ramo di corallo divelto e appoggiato sul ponte della Haven. Da lì sono iniziate, dopo la segnalazione, le valutazioni del caso insieme al nostro biologo Filippo Fratini per capire quale potesse essere il modo migliore di agire. Nel frattempo proprio Cristina e Andrea hanno iniziato a proteggere il ramo di corallo, vincolandolo con un piombo e un elastico per tenerlo fermo sul ponte e in posizione più verticale possibile. In questo caso specifico, trattandosi di un relitto tra i più grandi del Mediterraneo e legato al disastro ambientale più grave del nostro mare, abbiamo voluto lanciare un segnale. A trent’anni dall’affondamento, dal disastro ecologico, dimostriamo che il mare è vita, che ha una grande forza e resilienza ma che va curato e tutelato.»
Ci descrive i principali step dell’intervento e come si sta procedendo in questo momento?
«Una volta visionati i filmati e le fotografie del rilievo, abbiamo capito che il modo migliore per riposizionare il ramo di corallo nero, era quello di utilizzare una tecnica sperimentale ma già usata in passato, di fissaggio con un mastice indurente idoneo per l’ambito marino.
L’operazione si doveva svolgere nel minor tempo possibile perché il corallo nero appartiene a quelle specie bentoniche che vivono proprio per filtrazione mentre, così adagiato sul fondale, più tempo passava e meno speranze di sopravvivenza c’erano.
Identificata la data di intervento, inserita tra le tante operazioni che anche quest’anno ci hanno visto coinvolti, una squadra di 4 operatori subacquei è partita da Roma alla volta di Arenzano. Abbiamo trovato poi in loco un nostro referente della squadra sub di Milano, uno della Liguria e ovviamente Cristina e Andrea.
Il primo giorno, sistemate le attrezzature, abbiamo fatto un primo tuffo esplorativo per capire lo stato dei luoghi e di salute del ramo di corallo nero. Ci siamo resi immediatamente conto che il corallo era già in uno stato di sofferenza e che dovevamo agire con celerità.
Il giorno dopo, preparato il necessario per l’operazione – spatole per la pulizia della zona che avrebbe ospitato nuovamente il ramo, staffe di fissaggio e di sicurezza, l’impasto occorrente per ricreare il basamento ecc – abbiamo iniziato la nostra immersione “di salvataggio” vero e proprio.»
Quali sono – o sono stati – i maggiori elementi di complessità/criticità di un’operazione di questo tipo?
«Sicuramente il problema primario è un mix tra l’aspetto tempo, la profondità e l’ambito di lavoro. Difatti ci troviamo a una profondità di circa 55 metri e lavorando sott’acqua il tempo passa molto velocemente. La squadra si immerge utilizzando sistemi di respirazione a circuito chiuso (CCR), che ci consentono tempi di permanenza maggiori, miglior sicurezza e operatività proprio degli operatori. La seconda difficoltà viene proprio dal fatto che bisogna lavorare a quella profondità, quindi impastare la mescola cercando di farlo nel modo più corretto e omogeneo possibile, pulire la porzione del ponte che doveva ospitare nuovamente il ramo di corallo nero, creare il basamento e fissare il ramo orientandolo esattamente come gli altri lì vicino, un po’ come si fa con le antenne paraboliche, in modo da garantirgli la massima filtrazione. Ultimo passo è quello di installare delle staffe in metallo, opportunamente zavorrate, per stabilizzare il ramo durante l’indurimento della pasta che impiega fino a 10 giorni per completarsi. A lavoro terminato, via con gli scooter verso l’uscita, dando prima una controllata al resto dei rami e del relitto, che proprio quel giorno, per fortuna, ci regala una visibilità fantastica!»
I progetti di sostegno ambientale al mondo sottomarino si sono evoluti nel tempo, secondo l’esperienza di Marevivo? E in che modo?
«Marevivo inizia la sua attività nel lontano 1985, quasi 40 anni fa già lavoravamo per sensibilizzare le persone facendo pulizie delle spiagge e parlando di plastica, cosa che ora – per fortuna – è sulla bocca di tutti. Ma fin da dai primi anni di vita ci si rende conto della necessità di creare una squadra operativa che sia gli occhi e le braccia sotto il mare. Le prime attività sono state di monitoraggio e rimozione di piccole reti e lenze da pesca. Il grande salto l’abbiamo incominciato nel 2003-2004 quando abbiamo iniziato le attività di rimozione reti più grandi, partendo proprio dall’isola di Salina con la rimozione di una rete lunga 600 metri. La più grande è stata nel 2021 all’isola delle Femmine dove abbiamo rimosso una rete – una spadara derivante illegale nel mediterraneo da circa 20 anni grazie proprio all’intensa attività legislativa di Marevivo – lunga ben 3500 metri. Poi siamo passati, negli anni, ai recuperi portuali di PFU (pneumatici fuori uso) e alle batterie abbandonate, iniziative che ci hanno formato tanto proprio per la loro complessità, anche se operazioni a profondità contenuta.
Attualmente gli scenari operativi della divisione subacquea di Marevivo si sono evoluti e sono cambiati. Rimuoviamo ancora reti, ma ci siamo specializzati in rimozioni molto “chirurgiche”; tagliamo minuziosamente le reti dalle forme di vita che sono ancorate al fondale in modo da non arrecare danni (questo ci ha portato il soprannome di “angeli blu con le forbici”), possiamo ricollocare le forme di vita che si sono ancorate al substrato fissandole sul fondale non appena liberato e soprattutto lavoriamo liberando fondali a batimetriche maggiori, lì dove ci sono reti più grandi e più catturanti, più proprio perché sul fondo i pescatori vanno per caccia grossa in quanto vi si trova più pesce.»
Un aneddoto che ritiene più significativo inerente alla fase attuale della messa in opera del progetto?
«Diciamo che per quando abbiamo pianificato l’intervento, a luglio, uno si aspetta condizioni “favorevoli”. Una volta incastrata la data invece…in quella settimana mare mosso, piogge intense ecc. La fortuna ha voluto – come se il mare lo sapesse – che si calmasse tutto il venerdì sera per consentirci di lavorare la domenica (anche se il sabato ha piovuto di nuovo). Il meteo mare avverso ci stava mettendo lo zampino e sarebbe stato un caos ripianificare tutto!»
Quali sono i partner dell’operazione?
«In questo caso non ci sono stati partner specifici dell’operazione. Di solito noi abbiamo partner tecnici che forniscono delle attrezzature necessarie per svolgere l’operazione e dei partner finanziatori che consentono di coprire le spese per la riuscita dell’intervento, compresi i costi di smaltimento e riciclo del rifiuto rimosso. I partner sono sempre dei privati, estremamente sensibili alle tematiche ambientali e che hanno a cuore il mare, oltre ovviamente le donazioni che arrivano dei tantissimi sostenitori che Marevivo ha (per donare basta andare sul sito marevivo.it)»
C’è una supervisione scientifica istituzionale – e a cura di chi – su quanto state facendo?
«Marevivo fin da subito si è dotata di un grande Comitato Scientifico, composto da professori universitari, biologi e naturalisti. Con loro vengono condivise le valutazioni di fattibilità di un intervento e le modalità, oltre alla sperimentazione di nuove metodologie come quella del riposizionamento utilizzata anche in questo progetto. (L’elenco dei componenti del comitato scientifico è disponibile anche sul sito internet dell’Associazione).»
Che possibilità ci sono di rendere questa procedura esportabile e replicabile anche altrove?
«Questa proceduta noi la utilizziamo ormai in moltissime operazioni e in tutti i mari che sono lo scenario dei recuperi. Funziona ed ha diversi campi di applicazione. Dapprima abbiamo fatto test in acquario, poi provato sul fondale e questa era la prima volta su un relitto in metallo.»
Potremmo definire questa come un’operazione di “citizen science” particolarmente evoluta?
«Assolutamente si! A me piace, da subacqueo, chiamarla Scuba Science, ma assolutamente si, senza le segnalazioni dei tanti subacquei che vivono il mare, per noi sarebbe impossibile monitorare tutti gli oltre 8000 km di costa del nostro splendido Paese»
Che prospettive intravede in futuro circa lo sviluppo/progresso di progettualità del genere?
«La sensibilità verso il mare sta crescendo e con essa la consapevolezza che il mare va tutelato perché per noi è fonte di vita. Un respiro su due lo dobbiamo al mare che ci fornisce circa il 50% di ossigeno e assorbe circa un terzo dell’anidride carbonica, grande responsabile del cambiamento climatico. Questa cosa ormai è sotto gli occhi di tutti e sta a noi ambientalisti, cercare di divulgare l’importanza della tutela; e questo può avvenire solamente grazie alla conoscenza e al coinvolgimento di tutti, nello specifico della comunità subacquea. Per noi gli obiettivi futuri sono la mappatura e la segnalazione più celere possibile dei rifiuti abbandonati in modo da agire più rapidamente, e in questo ora ci viene in aiuto la rete grazie a delle App specifiche per il diportismo (Boating di Navionics – Garmin) e per i sub (Scubadvisor) che consentono una segnalazione e un contatto diretto con Marevivo. Inoltre svilupperemo metodi ancora meno invasivi di rimozione e speriamo che i processi di riciclo dei prodotti recuperati possano portare sempre di più ad una percentuale di recupero maggiore, onde continuare a dare un senso positivo a qualcosa di brutto che è stato eliminato dal mare.»
Relitto della petroliera Haven – i cui fatti relativi al clamoroso affondamento di trent’anni fa sono da sempre stampati a fuoco vivo nella memoria collettiva – e corallo nero rappresentano innegabilmente due autentiche icone per ogni subacqueo.
E proprio il fatto stesso che sull’enorme relitto, passato in una manciata di anni dall’essere la causa di un immane disastro ambientale a quel che molti hanno definito “il più bel relitto del Mediterraneo”, crescesse (tra molte altre) anche una specie vivente come il corallo nero, così affascinante, schiva e misteriosa – sia per la rarità sia per le proibitive profondità dei suoi areali – ha creato il valore di un abbinamento irripetibile, che la natura ha favorito e l’uomo, ancora una volta, ha danneggiato e rischiato di distruggere.
Più che comprensibile pertanto la tensione emotiva con cui l’argomento viene ora vissuto e l’apprensione dei subacquei nel poter assistere – grazie a Marevivo! – a come andrà a finire questa avventura della conoscenza.
Che fossimo capaci di fare danni anche involontariamente, si sapeva; ora vedremo se, almeno in questo caso, sapremo altrettanto efficacemente giocare d’ingegno per rimediare.
Rimanete connessi!