Un soprannome fantasioso? Non troppo. Infatti, come tra gli animali è avvenuto ai cetacei, tra i vegetali è lei – la Posidonia – a esser tornata a vivere sotto il mare dai campi d’un tempo. Per costituire oggi un habitat esclusivo del Mediterraneo. Nonché un insospettabile scrigno di scoperte. Vi diciamo tutto sui verdeggianti prati dell’Eden sommerso.

A cura di Sara Turrini e la Redazione. Foto Emanuele Vitale.

La Posidonia (Poseidonia oceanica) ha almeno tre storie affascinanti quanto insospettabili da raccontarci: la prima è che, a dispetto del nome, cresce solo in Mediterraneo; la seconda è che nell’evoluzione della vita sul nostro pianeta, una volta, era simile all’erba di campo, con cui tutt’oggi è imparentata. Infatti è una pianta – e non un’alga, come qualcuno ancora purtroppo crede! – ovvero una Fanerogama marina, ossia è in grado di riprodursi sia in maniera sessuata che asessuata, cioè rispettivamente sia col ciclo fiore-frutto-seme che per radicolazione, alias infiltrazione ed espansione dei rizostomi nel substrato. Insomma, evolutasi (come tutti) dagli oceani primordiali e diventata terrestre, è poi ridiventata marina. La versione vegetale dei cetacei. Una vera balena verde! La terza storia su di lei è che, contrariamente a come veniva fatta vivere (male) ai neofiti da istruttori sub poco preparati, non soltanto non espone ad alcun fenomeno ipnotico o di disorientamento alla vista bensì guardarla ondeggiare con quella sinuosità tutta sua è semplicemente bellissimo; ma è anche tutt’altro che priva d’interesse, anzi custodisce un universo di biodiversità incredibile e tutto perfettamente osservabile…certo, sapendo dove e come guardare. Ma andiamo con ordine.
Quello delle piante è un regno gigantesco che comprende innumerevoli specie per la maggior parte terrestri. In ambiente marino se ne ritrovano solamente poche specie tutte derivanti da progenitrici terrestri che, circa 100 milioni di anni fa, si sono riadattate all’ambiente acquatico. Le piante marine sono delle fanerogame (ovvero piante che producono fiori e frutti) appartenenti alla casse delle Monocotiledoni (cioè quelle piante il cui seme contiene una sola foglia embrionale, chiamata appunto cotiledone). Di tutte le monocotiledoni, alle quali appartengono anche numerosi tipi di piante terrestri e vari tipi di piante di acqua dolce, le piante marine sono rappresentate soltanto da una piccola sottoclasse, quella delle Elobie. A sua volta, in base alla presenza o all’assenza di una piccola guaina situata alla base del lembo fogliare (che prende il nome di ligula), la sottoclasse delle Elobie è suddivisa in due ordini. Uno è quello delle idrocaritali, prive di ligula, costituito dalla famiglia delle Idrocaritacee. Sono piante, come quelle dei generi Thalassia ed Halophyla, tipiche dei mari tropicali (anche se nel Mediterraneo è ormai diffusa Halophyla stipulacea, specie alloctona migrata attraverso il Canale di Suez che è riuscita a trovare un ambiente idoneo alla crescita anche nelle nostre acque). Il secondo ordine è quello delle potamogetonali, provviste di ligula, al quale appartengono la famiglia delle Posidoniaceae, delle Cimodoceae e delle Zosteracee.
Le praterie formate dalle fanerogame marine sono diffuse nelle zone costiere di tutti i mari della Terra a eccezione di quelli polari. Nel mar Mediterraneo ne sono presenti cinque specie: Posidonia oceanica, Halophyla stipulacea, Cymodocea Nodosa, Zostera Noltii e Zostera marina.
Essendo legate all’illuminazione solare per svolgere la fotosintesi, la loro distribuzione batimetrica è limitata alle zone superficiali ed è comunque legata alla limpidezza dell’acqua.
La Posidonia oceanica è una fanerogama endemica (esclusiva) del Mediterraneo e prende il suo nome dal Dio Poseidone che, nella mitologia greca, rappresentava il signore dei mari. Al genere Posidonia appartengono anche altre specie (quali P.angustifolia, P.australis, P.ostenfeldii e P.sinuosa) caratteristiche, però, delle coste australiane. P. oceanica è formata da un rizoma (un fusto modificato che decorre sotto il sedimento) dal quale dipartono verso il basso le radici e verso l’alto, a livello dei nodi, i fasci fogliari. Questi sono costituiti da un numero fisso di foglie nastriformi (generalmente varia da 7 a 8), molto verdi per la presenza di cellule parenchimatiche clorofilliane (ricche appunto di clorofilla). Le foglie, che possono raggiungere gli 80-100 cm di lunghezza e 1 cm di larghezza, si accrescono tramite un tessuto di accrescimento basale anziché apicale come nelle piante terrestri (se la parte apicale della foglia venisse persa in seguito al foraggiamento o ad una mareggiata ne verrebbe compromessa la crescita). Nel fascio di foglie quelle più giovani si ritrovano all’interno mentre le più vecchie all’esterno. Come la maggior parte delle caducifoglie, durante l’autunno P. oceanica perde una discreta quantità di foglie e ne produce di nuove principalmente in primavera. Quando una foglia cade la parte basale rimane attaccata al rizoma, lasciando così un residuo che prende il nome di scaglia. Sono proprio le scaglie insieme a frammenti di rizoma che, strappate dal moto ondoso e fatte rotolare a riva, formano le famose “palline” di colore marrone che troviamo comunemente sulle spiagge. Le scaglie possono comunque rimanere attaccate per centinaia di anni al rizoma e vengono usate dai ricercatori per datare l’età di una prateria (metodo che prende il nome di lepidocronologia e che si basa sulla variazione ciclica ed annuale dello spessore delle scaglie in un fascio). Tornando ai rizomi, questi mostrano due tipi di accrescimento: uno plagiotropo (parallelo al terreno) ed uno ortotropo (perpendicolare al terreno). La pianta, infatti, si espande e colonizza nuovo spazio crescendo parallelamente al fondale però, per non essere sepolta dal sedimento che si depone sul fondo e che la ricopre progressivamente, deve accrescersi anche in verticale. L’insieme del sedimento, delle radici e dei rizomi (sia vivi che morti), è definito dei francesi con il termine di “matte” e va a formare dei veri e propri terrazzamenti sottomarini.
La Posidonia può riprodursi sia per via sessuale che asessuale, anche se quest’ultima è la più efficace. Nel primo caso la maturità sessuale del fascio è raggiunta intorno ai 6-12 mesi di età, la probabilità di produrre fiori aumenta poi fino al sesto anno di vita e diminuisce progressivamente fino a circa 11 anni, età oltre la quale non c’è più fioritura. Le infiorescenze prodotte sono spighe composte da 4-5 spighette. Le prime gemme fiorali si sviluppano ad inizio autunno mentre i frutti si formano tra dicembre ed aprile, anche se è stato osservato che le praterie più profonde mostrano un ritardo della fioritura di circa due mesi, probabilmente dovuto alla minor quantità di luce che vi arriva. L’impollinazione è affidata alle correnti. Potenzialmente da ogni fiore (ermafrodita) potrebbe svilupparsi un frutto, in realtà la percentuale di aborto è molto alta (raggiunge circa l’87%), in più l’insediamento e la germinazione del seme sono eventi piuttosto rari e difficoltosi. Il frutto, dalla forma ovale, è lungo circa 3 cm, largo 2 cm e ricorda molto un’oliva (gli è stato attribuito infatti il nome “oliva di mare”). È una drupa e al suo interno sono contenute sostanze oleose che, essendo più leggere dell’acqua, lo fanno galleggiare consentendone la dispersione tramite le correnti. Dopo alcune settimane si formano quattro fessure sulla superficie, l’acqua penetra all’interno e bagna il seme che, appesantito, cade verso il fondo. Essendo affidata alle correnti, la dispersione è del tutto casuale ed il seme potrebbe cadere in zone non favorevoli al suo insediamento. In tal caso il seme non germina più (contenendo una grande quantità di acqua non si conserva a lungo, motivo per cui non è stato possibile neanche effettuare una banca semi per questa pianta).
La riproduzione asessuale avviene tramite moltiplicazione ed accrescimento dei rizomi (riguarda sia quelli ortotropi che quelli plagiotropi) e, seppur rappresenti il fenomeno di crescita principale, procede molto lentamente (circa 1 cm di accrescimento annuo per quelli ortotropi e pochi cm per quelli plagiotropi).
Non è chiaro come mai il posidonieto prediliga di solito la riproduzione asessuata mentre quella sessuata – con ciclo fiore, frutto, seme – venga praticata solo di quando in quando e non annualmente a ogni stagione: è probabile che il verificarsi di quest’ultima “opzione” riproduttiva sia interpretabile come il tentativo di cambiare completamente insediamento alla colonia in risposta a insulti ambientali in qualche modo avvertiti come troppo pronunciati o prolungati: ipotesi affacciatasi allorché l’ampio inquinamento costiero da idrocarburi della petroliera Haven in Liguria fu correlato all’osservazione del verificarsi di una riproduzione sessuata nei posidonieti della zona ripetuta ogni stagione per più anni consecutivi.
La Posidonia tollera variazioni di temperatura piuttosto ampie (dai 10° C ai 28°C circa) ma non altrettanto si può dire per la salinità (è infatti assente nelle aree salmastre o in prossimità delle foci dei fiumi). Le condizioni ottimali che consentono un buono sviluppo della prateria, oltre ad una forte illuminazione, sono la presenza di abbondante sedimento organico, che si ritrova principalmente in fondali sabbiosi o fangosi e con basso idrodinamismo che permette un’adeguata deposizione del sedimento. Là dove ci sono fondali rocciosi o forte idrodinamismo e quindi poco sedimento si formano praterie di modeste dimensioni. A seconda del tipo di fondale e delle varie condizioni ambientali in cui si trova, si possono formare diverse tipologie di praterie (da quelle piane, continue ed omogenee, a quelle a chiazze tipiche dei fondali rocciosi).
P. oceanica, oltre a essere un importantissimo produttore primario, gioca un ruolo ecologico fondamentale sia per quanto riguarda la biodiversità che la protezione fisica dei nostri litorali.

Chi c’è in mezzo alle posidonie?
Queste piante, seppur inappetibili per la maggior parte degli animali (le foglie, infatti, sono particolarmente coriacee e ricche di tannini e solo i ricci di mare ed alcuni pesci, ad esempio la salpa Sarpa salpa, riescono a cibarsene), creano uno svariato numero di microhabitat a livello dei rizomi e delle foglie e in quella che a prima vista potrebbe sembrare una prateria omogenea possiamo trovare innumerevoli organismi, tutti disponibili all’osservazione diretta. Nel complesso si tratta di un autentico tempio della biodiversità. Le praterie ospitano infatti un mondo intero di specie come policheti, molluschi, crostacei, echinodermi, briozoi, idrozoi, ascidiacei, vari tipi di pesci e alghe. Varie specie di briozoi (tra le quali Myriapora truncata o falso corallo, Pentapora fascialis o corna d’alce ed Electra posidoniae) abitano sia alla base delle foglie che sopra di esse così come diversi tipi di spugne (Chondrilla nucula, Spirastrella cunctatrix, Axinella verrucosa, Axinella cannabina o spugna canna che può raggiungere il metro di altezza, Crambe crambe, Halicona fulva, Spongia officinalis o spugna da bagno e molte altre ancora). Numerose sono anche le specie di anellidi, come ad esempio Hermodice caruncolata o vermocane e i più noti e affascinanti sabellidi (Sabella spallanzani con il suo corpo cilindrico e la sua corona branchiale può raggiungere i 40 cm di altezza) e di crostacei (possiamo trovarne da specie lunghe solo pochi mm a specie di dimensioni maggiori come il gamberetto maggiore Palaemon serratus, la cicala di mare Scyllarus arctus, la galatea Galathea strigosa e la margherita di mare o granceola piccola Maja crispata). In quest’ambiente gli echinodermi sono riccamente rappresentati da crinoidei come il giglio di mare Antedon mediterranea, da varie specie di stelle marine tra le quali Astropecten spinulosus o stella pettine bruna, Asterina gibbosa o stella cuscinetto ed Echinaster sepositus o stella rossa, da oloturoidei come Holoturia tubulosa o cetriolo di mare, da ophiuroidea come la stella serpentina liscia Ophioderma longicaudum e da ricci di mare come il Paracentrotus lividus o riccio femmina. Anche i molluschi sono largamente rappresentati in tutte le loro classi, infatti, bivalvi, gasteropodi e cefalopodi sono tutt’altro che rari. Tra gli innumerevoli pesci che vivono in queste praterie possiamo trovare gronghi Conger conger, murene Murena helena, mormore Lithognathus mormyrus, orate Sparus aurata, dentici Dentex dentex, lo sparaglione, il sarago faraone, fasciato, pizzuto e maggiore (tutti appartenenti al genere Diplodus), lo scorfano nero Scorpena porcus e rosso S. scrofa e il pesce San Pietro Zeus faber. Le occhiate Oblada melanura vivono ai bordi delle praterie mentre la leccia Lichia amia e la ricciola Seriola dumerili vivono in questo ambiente durante i loro stadi giovanili (la leccia vi ritorna anche da adulta come cacciatore).
Anche le foglie che si staccano e si depositano sulla spiaggia accumulandosi lungo la linea di costa (molto spesso scambiati erroneamente per ammassi di alghe) vanno a creare nuovi habitat per molti organismi terrestri. Oltre a questo diminuiscono notevolmente l’impatto dell’idrodinamismo sulle coste limitandone l’erosione. Sfortunatamente la poca informazione e la poca conoscenza portano a far prevalere l’interesse turistico rispetto a quello ambientale. Considerati “antiestetici” e senza dubbio maleodoranti gli accumuli di foglie che si depositano sulle spiagge (che prendono il nome di lettiera o “banquettes” in francese) vengono rimossi con il risultato che le nostre coste vengono letteralmente “mangiate” dal moto ondoso e regrediscono sempre di più. Un ulteriore ruolo nella protezione del litorale è dovuto al fatto che a livello dei fasci fogliari l’idrodinamismo viene molto ridotto: vi è una vera e propria azione frenante nei confronti del moto ondoso e delle correnti. Le foglie favoriscono così anche la captazione e la deposizione del sedimento a livello dei rizomi dove rimane intrappolato: la conformazione della pianta stessa e la sua caratteristica crescita, sia in senso orizzontale che verticale, portano ad una sostanziale modifica del substrato e favoriscono il consolidamento del fondale stesso.
Negli ultimi decenni questi peculiari ambienti sono stati minacciati da un crescente numero di fattori che hanno causato una forte regressione delle praterie. Una delle cause principali è il continuo incremento di antropizzazione costiera: oltre a risentire dell’inquinamento provocato dagli scarichi, questa pianta risente di tutte le alterazioni generate dall’uomo sui litorali. La costruzione di porti, moli, barriere frangiflutto, dighe ecc. oltre a modificare i fondali, determina alterazioni dell’idrodinamismo marino e attività come la pesca a strascico arrecano un danno diretto alle piante.
In diversi tratti di costa italiana anche il disboscamento scriteriato della vegetazione nei pendii digradanti verso il mare ha creato le condizioni per un maggior dilavamento dei terreni durante le piogge, con afflusso al mare di acque trasportanti maggiori concentrazioni di particelle argillose che poi si stratificano a mezz’acqua formando una sorta di schermo di maggior opacizzazione che ostacola il passaggio del normale irraggiamento solare, riducendolo: il fenomeno ha così permesso di osservare una “risalita” dei posidonieti a profondità minori nel tentativo di ritrovare condizioni d’illuminazione favorevoli, ma con lo svantaggio di esporsi a un idrodinamismo eccessivo e il risultato quindi di una riduzione del fogliame in dimensioni e lunghezza.
Come avrete intuito dalla lettura fin qui, persistono ancora molti aspetti misteriosi su questo affascinante organismo vegetale marino, prezioso per i nostri mari e custode di un autentico tesoro di biodiversità, produttore di ossigeno dieci volte di più di una pari superficie di foresta vergine, indicatore biologico della buona salute delle acque.
Perciò osservatela, la Posidonia, e divulgatene la conoscenza, fin dai bambini.
E forse così saprete guardarla con occhi nuovi.
Ricordando che ogni volta che viene chiamata “alga” un biologo marino muore: sta anche a ognuno di noi – di voi – fermare questa strage.

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