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Realizzazione di un progetto del gruppo 7/70, ecco la cronistoria di una moderna esplorazione subacquea su un relitto d’aereo ancora tra i meno noti e più meritevoli di approfondimenti.

A cura di Giorgio Anzil. Testo e foto del “gruppo 7/70”.

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”12542″ content_image_size=”full” content_title=”Ala destra e particolare della copertura telata” lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″ el_file=””]

Cenni storici
Con riferimento tratto da quanto riportato in un articolo di Oscar Corna e Fulvio Finazzi, il Focke Wulfe 58 C “Weihe” era un aereo polivalente in quanto era stato progettato per poter assolvere a diversi compiti tra i quali il trasporto merci, il trasporto feriti e l’aereo scuola. Era lungo 14 m, aveva un’apertura alare di 21 m, era motorizzato con due Argus AS V-8 da 240 Cv che gli permettevano di raggiungere i 280 Km/h e aveva un’autonomia di circa 1.600 Km. Il Focke Wulfe 58 C decollò da Bron alle ore 13:15 di martedì 30 Marzo 1943 con quattro uomini a bordo. Si diresse verso le Alpi, sorvolò la città di Châtillon Chindrieux e dopo circa 40 minuti di volo si accinse a ritornare alla base sorvolando il lago in direzione nord-sud. Quello era l’ultimo giorno di insegnamento di uno studente e vi era l’usanza (non autorizzata) di eseguire un volo radente sopra il lago. Sebbene questa manovra non fosse consentita, il pilota istruttore, Ernst Chronz, fece picchiare il proprio aereo. Per qualche ragione sconosciuta (forse per l’effetto “specchio” che non consente di stimare correttamente le distanze) l’aereo colpì la superficie dell’acqua e si inabissò. Nell’incidente perirono il pilota, Ernst Chronz, ed uno studente, il caporale Kurt Becker. Il 2° studente, Rudolph Schiere, ed il radio-operatore, caporale Otto Steinbach, scamparono miracolosamente sia all’incidente sia all’ipotermia dovuta alle gelide acque del lago (in quel periodo dell’anno, la temperatura dell’acqua non supera i 3°C).

L’idea e l’organizzazione
Nel 2016 nasce il “gruppo 7/70”, tutta gente con la passione per il “ferro”, da qui l’idea di fare esplorazioni particolari, tra queste quella di visitare questo aereo nelle gelide acque di Bourget du Lac. Si tratta – va detto – di esplorazioni con lo scopo non tanto di scovare nuovi relitti bensì di approfondire le conoscenze e la documentazione su quelli comunque meno noti, in quanto più difficili da raggiungere e quindi con all’attivo minori esplorazioni precedenti, com’è appunto il caso del “nostro” FockeWulfe.
Nel 2017 Riusciamo dopo mille peripezie, telefonate, mail, ad avere un imbarco.
Il diving: Plongée Com’Aix, ci conferma la data del 29 Ottobre come disponibile. L’imbarco viene fissato da Port de Plaisance de Chindrieux, al nord del lago di Bourget. Il porticciolo è a 5 minuti dal “gavitello”.
Era più di un anno che immaginavamo questa immersione, abbiamo visto e rivisto foto e video, fissato i punti da vedere, studiato l’aereo e la collocazione dei singoli elementi. Abbiamo pianificato i gas, la strategia di deco con i compagni, i bailout e come utilizzarli, esaminato le attrezzature di ognuno, controlli pre immersione, risoluzione di eventuali incidenti e procedure di emergenza del diving… Nulla è lasciato al caso da nessuno. La sera precedente abbiamo discusso su come gestirsi la divisione in due Team agevolando i fotografi. All’interno del Gruppo ognuno ha delle funzioni specifiche, con l’obbiettivo di raggiungere un risultato comune. Questo tuffo doveva essere di supporto a chi faceva le foto, le difficoltà erano date dall’alta probabilità di sospensione sul fondo, dal freddo e dalla lunga deco.

L’immersione
Dopo un breve spostamento in barca, si intravede un boetta bianca, il barcaiolo si fissa, mettono dei fusti a rinforzo, calano le barre della stazione, mettono i bailout in linea… Appena entriamo in acqua, ci accolgono i 16 gradi freschi dell’acqua di lago, ultimi controlli, il primo team scende, i fotografi che sono Bortolotti, Puma e Beppe, poi Hammer, Faktore e Wolf.
La discesa è nel “latte” fino a 50 metri, per fortuna ci alleniamo sempre nei laghi e siamo abituati a queste situazioni, abbiamo già fatto dei tuffi profondi nel Maggiore e nel Garda. La cima scorre e il buio ci avvolge all’improvviso, vediamo le torce e i fari dei fotografi più in giù, siamo a 75 metri (una volta profondità così erano inimmaginabili). All’improvviso vediamo i fari fermi che si avvicinano, 85, 90, eccolo! Oddio! Un colpo al cuore, alla gola, all’improvviso ci sembra di tornare bambini e di entrare nel negozio dei giocattoli. Dobbiamo fermare la discesa, stavamo andando forte e bisogna riprendere la coda per il video, controllo della PPo2, stagna, gav, sacchi… stabilizziamo e nel frattempo roteiamo intorno alla coda. Le emozioni si susseguono con una velocità incredibile, arriviamo e vediamo quella svastica che simboleggia un’epoca lontana, tale da aver segnato i nostri nonni. Anche se non si dovrebbe, qualcuno, come un bambino tocca la coda, pur con i guanti stagni si percepisce che è fatta di tessuto… “Argh… Ma questi volavano con gli aerei di tela!” (…si, lo sappiamo, era trattata e incerata, l’acqua e i decenni l’hanno ammorbidita). Ma non c’è tempo, l’ala ci chiama, la percorriamo quasi con il fiatone, nel loro susseguirsi le sotto-strutture metalliche perfettamente allineate si alternano a lembi di tessuto che sembrano pronti per essere piegati in un cassetto. Scorriamo l’ala nella passeggiata, intravedendo i carrelli, uno ancora chiuso nel suo vano a scomparsa e l’altro sul fondo, come se qualcuno si fosse dimenticato di incollarlo su questo grande modellino. Giriamo intorno all’ala e rientriamo verso la fusoliera dalla parte dell’estradosso: si intravede la croce di identificazione, ci sono ancora le scritte dei seriali, non sappiamo a quanto avessimo le pulsazioni, l’emozione è alle stelle. Risaliamo la fusoliera, bisogna lasciare spazio ai fotografi, vediamo però che il cockpit e il punto di attacco dell’aereo nel fango è libero, ci fiondiamo. Intravediamo sotto il muso una bottatrice, da un lato ci chiediamo cosa ci faccia li, dall’altro siamo troppo presi dal FW58. La cabina di comando è il punto più basso dell’aereo, siamo a 108 metri, non avvertiamo e non percepiamo se fa freddo, credo che in quei momenti il sangue fosse molto “agitato”. Siamo all’undicesimo minuto circa, il cockpit è lì con un po’ di polvere, i sedili, la regolazione dei motori, le leve… Siamo in un tripudio di emozioni, ma ci ricordiamo che stiamo facendo un’immersione tecnica, controlli e check generale: tempo, profondità, PPo2, gas.
Riprendiamo quota per vedere gli interni, attraverso la struttura reticolare. Cerchiamo di infilare le mani e la telecamera, sollevando un po’ di sospensione non molto apprezzata da Hammer; la luce non basta, Wolf e Faktor provano a puntare la torcia verso il basso attraverso le reticolari, discesa, ritorniamo giù di un metro, il tempo scorre ed è tiranno… Dobbiamo fare le foto di rito, ripieghiamo nella zona alta e incontriamo Denise con la sua illuminazione a giorno, ci scatta due foto, cerchiamo ancora qualche scatto a qualche particolare. È il ventesimo, potremmo stare lì ancora, ma pensiamo al freddo della deco… perciò controllo generale e risalita. Chi fa questo genere di immersioni sa cosa significa questo momento. È il momento più toccante, il momento dei saluti, il momento del… “aspettami ti prego, tornerò a trovarti”. Vorremmo portarlo con noi, ci sforziamo e imponiamo che non saranno due minuti a cambiare la situazione. «Quel “giocattolo” deve restare lì, perché è proprio perché sta lì che ci piace tanto».
La deco scorre serena, tra pacche sulla spalla e contro-pugni di approvazione. La consapevolezza di essere riusciti pure essendo dei semplici subacquei sportivi a fare qualcosa per noi impegnativa. Un gruppo coeso, amici, compagni di qualcosa che porteremo nel cuore per tutta la vita. All’uscita quando Lionel ci vede tutti in barca, tira fuori del Patè per tutti, qualcuno declina l’invito e lo coccola con dei cookies al cioccolato, tea caldo e… parte l’epopea dei ricordi.
È un tuffo da fare una volta nella vita: chi ama i relitti di certo non se ne pentirà.
Ci piace riportare una frase che abbiamo preso da un film, “diveintounknow”: “Se mi devi chiedere perché vado la… probabilmente non capirai neppure la risposta. È difficile spiegarlo a qualcuno che non conosce questo sport, il motivo perché andiamo in posti così ostili per gli umani. Non importa quanto difficilmente cerco di articolare o spiegare la cosa, non riuscirai mai a capire perché devo andare la”

*Divers team 1:
Emanuele Loglisci (Wolf), Roberto Strgar (Hammer), Andrea Fattore (Faktor).
Divers Photo Team:
Denise Brusoni (Puma), Giuseppe D’Urso (Beppe), Enrico Bortolotti (in via di definizione…)
Team support:
Tiziana Tagliaferro

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