Per fare un quadro di cosa sia l’immersione in apnea oggi, sarebbe anzitutto più opportuno parlare di apnee, al plurale.

Di Romano Barluzzi. Foto Mario Genovesi

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L’apnea, la più antica forma d’immersione umana subacquea, nata con ogni probabilità tra le palafitte di villaggi acquatici preistorici, è da tempo al centro di nuove trasformazioni epocali. E il passaggio più radicale che sta attraversando è proprio il più moderno, il più recente in ordine di apparizione. Siamo infatti da un pezzo molto oltre la fase della quasi ventennale rincorsa al record che fece diventare stelle indiscusse della sfida agli abissi gli irripetibili Enzo Maiorca e Jacques Mayol. E siamo anche oltre la successiva era dei Pelizzari, Genoni, Pipin, pur tuttora personaggi di spicco tra i media del settore. I veri protagonisti del momento, anche se purtroppo – complice il decadimento di notorietà di tutte le attività subacquee nel cuore della gente – quasi nessuno ne parla mai abbastanza, sono i molti giovani e giovanissimi, come non ce n’erano mai stati altrettanti in precedenza, che vincono e stravincono alle gare del settore e che sempre più spesso fanno incetta di record in tutte le categorie. Per di più con prestazioni che farebbero impallidire quelle di chi li ha preceduti.

E, oltre all’apnea estrema per distanze e profondità, ci sono quegli sport emergenti svolti interamente in apnea, come l’hockey e il rugby sub, o come il safari fotosub, il tiro al bersaglio sub, ecc; ci sono le rinnovate ricerche sulla fase subacquea del nuoto di superficie, o le componenti subacquee del nuoto pinnato; ci sono i molti fortissimi primatisti stranieri, con i loro circuiti di competizioni e meeting internazionali, una sorta di community che si sposta e si ritrova in giro per il mondo quasi come fanno i surfisti in cerca dell’onda migliore; c’è lo studio intorno a modalità di progressione subacquea a corpo libero come la rana, o le nuove elaborazioni in fatto di preparazione atletica specifica, e soprattutto le ultime acquisizioni in fatto di tecniche di compensazione. Al di fuori dello sport di vertice in senso stretto – sia esso la gara o il record – c’è poi l’evoluzione più massiva, e anche qui le differenze di stacco col passato sono marcate: lo snorkeling, specie quello svolto con le naturali finalità di perlustrazione ambientale, è passato da quel limbo di attività indefinita e indefinibile in cui i sub più esperti l’avevano confinato (quasi non fosse nemmeno annoverabile nella categoria “sub”) al ruolo di una vera e propria attività propedeutica a tutte le altre forme d’immersione subacquea e dotata perfino di una propria autonoma fisionomia. Chi può negare che quasi tutti abbiamo cominciato la nostra avventura nel “sesto continente” sbirciando sotto le onde con maschera, pinne e boccaglio? E che dire delle Aree Marine Protette che organizzano istituzionalmente da anni uscite dedicate in esclusiva alla perlustrazione naturalistica in snorkeling, trekking acquatico, seawatching, ecc? Se l’attività subacquea è entrata a far parte del nostro Dna, se il nostro senso comune di popolazione la riconosce come proprio valore acquisito, se non esiste soffitta o cantina in cui non ci sia almeno un completo di pinne, una maschera e uno snorkel lo dobbiamo proprio alla diffusione dello “snorkeling”, diventato per l’appunto addirittura un pratico neologismo. E che altro non è se non un qualcosa che precede l’immersione in apnea, anzi la introduce.

Comunque la si intenda, l’immersione in apnea oggi conserva intatti tutti i primordiali valori legati a questo gesto: l’istintività, la naturalezza, la libertà dei movimenti. In più le moderne conoscenze di psicomotricità hanno permesso di farne uno strumento di crescita individuale valido per chiunque a qualsiasi età e capace di affinare ulteriori potenzialità, come l’autocontrollo, l’introspezione, la percezione di sé e del proprio respiro. Mi fa sempre riflettere come nient’affatto casuale che da noi l’attività sia stata battezzata originariamente con un termine mutuato dalla semeiotica medica, quasi a sottolineare l’aspetto “patologico” del gesto – la privazione del respiro, appunto – mentre nel mondo anglosassone abbia un’etimologia evidentemente più gioiosa ed evocativa della naturalità: freediving, skindiving, ecc.

La moderna apnea comunque non tratta più solo di prestazioni in termini quantitativi, bensì soprattutto di qualità dello stato mentale durante il suo svolgimento: non conta quanto si resiste sott’acqua, né quanti metri d’immersione si fanno, ma come ci si sente mentre si trattiene quel respiro scivolando nell’elemento liquido. L’apnea in mare arricchisce tutto ciò con la visita a uno straordinario universo di organismi viventi speciali, che mentre si trattiene il respiro si lasciano avvicinare di più e osservare meglio, in quanto nel silenzio di un’apnea li disturbiamo di meno. Tanta naturalità è oggi alla portata di tutti… e proprio in virtù di questi valori connaturati all’attività stessa l’apnea può avvalersi a livello educativo di alcune delle più efficaci tecniche di concentrazione, rilassamento, autopercezione e introspezione, che ne fanno una delle migliori attività legate al benessere psicofisico dell’individuo.

E la magia del respiro trattenuto continua a evolversi, diffondersi ed esprimersi in tutte le sue forme. Noi vedremo di visitarle tutte.

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