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Tra i relitti dello stretto, questo è tra i più belli e più ricchi di emozioni in assoluto!

Di Isabelle Mainetti. Foto GianMichele Iaria

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Nella bellissima terra di Sicilia oltre che profumi e tradizioni ci sono anche numerosi interessanti relitti sommersi e, non indifferente a molti di questi, mi si illuminano gli occhi solo a pronunziarne il nome.
Postando avventure, foto e altro sul social network, un amico fino a quel momento solo virtuale usa la parola magica: VALFIORITA.
Senza perché né per come, dovendo già per mio piacere andare a Siracusa, dirotto una giornata nel Messinese.
La cordialità trovata è stata pressoché divina, preso alla sprovvista dal mio “SI vengo”, inaspettato, il povero nuovo amico Roberto Ucciardello si è rivelato meglio di un diving di alto livello.
Unico impegno portare me stessa a destinazione perché, per quanto riguarda l’attrezzatura subacquea, ero in ottime mani.
Uno dei lati positivi della configurazione hogartiana è che mi hanno vestita (salvo ovviamente la muta) da capo a piedi come fosse la mia attrezzatura: erogatori, gav, bibo, stage, torcia, maschere, pinne… tutto impeccabile, grazie anche a Cosimo – che quel giorno non poteva immergersi – il quale me l’ha consegnata su un piatto d’argento.
20 settembre 2015 – Ore 9:00 arrivo presso il diving Oloturia. Diving piccolo, ma ben organizzato e professionale, di quelli che di tecnica ne sanno veramente.
Mi si presenta d’innanzi un uomo dall’espressione seria con fronte alta e corrugata, di poche parole, di nome Gianmichele Iaria.
Scopro poi – ma lo si capiva già dalla professionalità con cui parlava – che è parte di un team di esploratori (es: il Viminale) ed è Trainer SSI, RAID, PSAI nonché istruttore TDI.
Beh, che dire, sicuramente eravamo in ottime mani.
Con il suo vocione e sguardo apparentemente uggioso dà il via alle danze con poco più di un cenno, ma nel momento del briefing ecco il viso prendere luce.
Attorno a lui come cavalieri della tavola rotonda rimaniamo attenti in silenzio mentre ci mostra foto e filmati dell’atteso relitto.
Il relitto in questione è tra i più belli della zona dello stretto di Messina, ben 6.200 tonnellate di motonave da carico, lunga 144 m e larga 18 con sede, in vita, a Genova e ben 3 gemelle: Ombrina, Sises e Sestr.
Nel 1942 venne armata con un cannone da 120/45 mm e tre mitragliere contraeree.
Nel giugno del 1943, appena riparata da un precedente siluramento, partì da Taranto per Messina per poi andare a Palermo con lo scopo di trasportare rifornimenti per rinforzare le difese dell’isola.
La sua storia, per quanto breve, è veramente interessante ed è la storia della nostra Italia.
Pensate, nonostante i solleciti del comandante, alla Valfiorita non furono inviati sufficienti mezzi antincendio. Delle 55 bombole antincendio richieste, al terzo sollecito ne furono inviate solo 10 e per lo più non idonee all’imbarcazione nonostante il carico particolare, parliamo di 4.115 tonnellate di rifornimenti, munizioni e 450 tonnellate di gasolio in fusti, viveri e mezzi di trasporto tipo auto, camion, moto.
Soldati italiani e tedeschi la utilizzavano per attraversare lo stretto e molti conclusero con lei anche il proprio ultimo viaggio.

Alle 22:44 del 2 luglio, da Messina verso Palermo, il sommergibile inglese Ultor la vide e le lanciò 4 siluri, riuscendo a colpirla con 2 in rapida successione.
Il primo colpì e distrusse la sala macchine, il secondo la sala numero 4 a lato sinistro e interessò il reparto armato dando il via ad uno spaventoso incendio implacabile che, com’era facile prevedere non avendo sistemi antincendio, raggiunse le tonnellate di carburante dando vita all’inferno.
Fortunatamente ci fu l’ordine di abbandonare la nave.
“Su 45 civili e 22 militari (18 italiani e 4 tedeschi) che componevano l’equipaggio della Valfiorita, 13 civili persero la vita”.
È pensando a tutto ciò che quella che è l’idea di ferraglia sommersa per alcuni, per me diventa anche un tuffo nel passato prendendo vita.
Con precisione Gianmichele ci traccia quello che sarebbe stato il nostro percorso indicandolo sul video e mostrando le sue fantastiche riprese di ciò che di più interessante saremmo andati a vedere.
Non sarà possibile esplorare tutta la nave come mi piacerebbe, è troppo grande e ricca di una innumerevole quantità di elementi bellici e come avevamo già pianificato, faremo  40 minuti di fondo ma, per potermi fare una idea vera di ciò che avrò difronte, mi servirebbero decine di altre immersioni.
Con calma parte la preparazione.
Ognuno controlla e monta la propria attrezzatura, verifica le proprie miscele e si concentra sul non dimenticare nulla.
Io e Roby avremo un bibo 12+12 con un 18/45, ean50 e O2 mentre Gianmichele scenderà in Reb.
Con il furgoncino del diving ci rechiamo all’imbarcazione che ci porterà sul relitto.
La giornata non è tra le migliori, il tempo ci è ostile, nonostante sia settembre a tratti fa freddo e il cielo è grigio-nero con un’atmosfera rabbiosa, ma nulla poteva fermarci.
Sul gommone con noi ci sono altri 2 sub con tempi di fondo più brevi, 2 accompagnatori e aiutanti e il nostro “super fotografo e giornalista in affitto”, gentilmente concessoci dagli eventi per quel giorno.
Dopo aver effettuato i controlli io e i miei compagni cominciamo l’avventura.
Uno…due…tre… e planiamo verso l’atteso incontro.
Ogni volta è emozione, ogni volta è sfida.
Appena Il tempo di assaporare il silenzio del mio respiro, la libertà dei movimenti, il passaggio emozionale da un mondo all’altro, che intravvedo il castello situato verso poppa a circa 45 m di profondità.
Temperatura gradevole e visibilità tipica del mare, la Valfiorita è lì, assopita e rassegnata ad una profondità tra i 60 e i 72 circa.
Spezzata in due, giace sul fondale sabbioso privata e deturpata della sua elica.
Noi, per ovvi motivi di tempo, rimarremo sul primo troncone, il più interessante e in assetto di navigazione. L’altro si trova più avanti, a prua, spezzato di netto è 1/4 della nave, adagiato sul fianco sinistro. Qui vi sono 2 stive e si trovano casse di proiettili e casse di stivali militari.
Come una bella signora sdraiata sul fondo degli abissi, nonostante il chiarore del mare, il suo animo pare cupo per una battaglia che non voleva.
Voraci nel cercar vedere il più possibile, dal castello ci caliamo nella prima enorme stiva a cielo aperto che si lascia penetrare senza freni né segreti.

La tragedia della Valfiorita è un libro ormai letto, il fuoco l’ha segnata ma non è morta sola, si è portata con se tutto ciò che ha potuto.
Tra i depositi di fanghiglia i miei occhi mettono a fuoco un’automobile e scopro “la Balilla” ancora sorridente e in posizione di partenza che pare creda ancora di tornare a vivere. Poi un’altra, questa probabilmente decappottabile in coda alla prima con i suo grande e inconfondibile ruotone posteriore. Mi evocano musica e films dei tempi. La mia fantasia vola.
Percorriamo ora una sorta di quadrato seguendo la passerella e poi risaliamo per rientrare nella seconda stiva.
Qui è come giocare in un parco, non so dove posare per primo lo sguardo.
Trovo un gran numero di camion accatastati uno a fianco dell’altro come in un garage.
Fedeli ai loro soldati stanno ancora lì, fieri ad aspettare gli ordini.
Sembrano sospesi, la pavimentazione in legno ha ceduto.
Girando il capo, una strana forma mi attrae, Roby mi indica di avvicinarmi, a primo acchito sembra un’anfora, invece con sorpresa trovo una moto dalla sua classica forma panciuta, una Guzzi con il carrello posteriore. Quanto è bella!
Non so perché e se succede solo a me, ma tutto in acqua mi pare più interessante, anche se x un attimo mi evoca tristezza, la sua fierezza abbattuta, nascosta appena da una coperta di “polvere” pare non voglia farsi guardare.
Facendo una stima tra la prima e la seconda stiva e’ un elenco di mezzi da capogiro tra cui  autocarri FIAT 626, autoblindo, varie autovetture comprese FIAT 1500 c, moto Guzzi e altri modelli di motociclette.
Il tempo stringe e proseguiamo per la terza stiva, quella che più mi risveglia il ricordo dell’inferno.
Ancora perfettamente in ordine, casse di munizioni, proiettili forse da mitragliatrice e bombe inesplose, attraggono l’attenzione, affascinanti, ma angosciosi.
Per un attimo rivivo nei miei pensieri il siluramento.
Sento le grida, il botto, l’odore della paura e del combustibile che brucia.
Vedo gente che corre spaventata ma coraggiosa, il fuoco che si avvicina e guardo le munizioni come potesse succedere ancora.
La nave che urla e poi…l’affondamento, la rassegnazione, la morte.
Èd ecco, proprio lì, poco oltre, a poppavia dell’estremità del cassero, che lo scafo presenta un foro creato dal siluro nel quale mi infilo uscendo all esterno della nave. Mi giro e mi rigiro mentre osservo attenta e cerco di capire se ho indovinato dove mi trovo per poi ripercorrerlo a ritroso.
Roberto e Gianmichele sono ad aspettarmi qualche metro più in alto per segnalarmi che il tempo purtroppo sta per scadere e dobbiamo avvicinarci al castello.
I 40 min sono volati, la clessidra sembra scorrere più veloce del solito.
Loro essendo della zona sanno che torneranno, ma io guardo la Valfiorita con un po’ di amarezza.
Quanto ancora avrei voluto vedere, chissà quanto ancora avrei potuto “sentire.”
Dal castello risaliamo, guardo la Valfiorita e i suoi tesori allontanarsi e alzando gli occhi al mondo aereo girata verso prua, osservo i due piloni che si ergono come braccia tese fino ai – 38 m come se stessero cercando di sfiorare il cielo.
Da fantasmi fugaci percorriamo i balconi sbirciando dove possiamo.
Avendo altro tempo dalle paratie laterali potremmo accedere ai piani superiori, al ponte di comando, alla stanza radio, oppure, volendo scendere, agli alloggi del personale o ancor meglio alla sala macchine (a vapore), in cui si può arrivare anche tramite la coperta di comando passando dal fumaiolo (ora caduto).
Purtroppo del cannone nessuna traccia, probabilmente era sulla punta di poppa. Così pure le mitragliette, una era vicino al fumaiolo ma facilmente circa 2/3 anni fa rimase annodata e demolita da qualche rete da pesca.
Alla cima ci solleviamo come pianificato.
Fisso la Valfiorita e la vedo leccarsi le ferite e di nuovo chiudere gli occhi e addormentarsi.
In risalita alterno i miei pensieri tra il profondimetro e le emozioni avute in questa immersione e nonostante le rievocazioni tristi di una storia di guerra, mi sento felice.
Amo ciò che ho fatto e amo gironzolare in questi grossi bestioni di metallo.
Mi sento bene e mi rilasso. In decompressione rivivo a occhi aperti ogni minuto mentre la sua figura lentamente svanisce.
Il mare è stato clemente, solo alla fine un po’di corrente e dondolio .
Fuori il diluvio e per chi era in barca ad aspettarci…un delirio!
Ma con certezza posso dire… “Sicilia, a presto!”

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