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Luca Pedrali dipinge un ritratto di se stesso a tutto tondo rispondendo alla nostra curiosità. E ci racconta così anche la speleologia di oggi, subacquea e non. Senza risparmiarsi.

Di Isabelle Mainetti. Foto Luca Pedrali, Pino Piccolo, Max Pozzo e collaboratori

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Le grotte – sommerse e non – sono un argomento estremo e ancor poco discusso e, sembrando tanto lontano dalla normale realtà, tendiamo a escluderlo, a “bypassarlo”; eppure dietro le sue quinte si muovono persone che uniscono l’amore per la subacquea con quello per l’entroterra, curiosi di come sotto di noi scorrano le energie dell’acqua e di come madre Terra si lasci plasmare. Labirinti nascosti, giochi d’ombre, arti naturali, realtà di vite alla ricerca di risposte, sfide oltre ogni limite, per quel sentimento che ti spinge e ti assorbe chiamato passione. Pensate a quante cose inverosimili e imprevedibili questa forma d’ipnosi volontaria ci porta. Immaginatevi soli nelle viscere della roccia mentre strisciate nell’ignoto in tunnel interminabili, o mentre con l’entusiasmo di un bambino accarezzate le pareti come davanti a un Picasso proseguendo per chilometri in pozzi forse senza fine. Sentitevi per un attimo protagonisti di un film d’azione, dove spinti e plagiati da una potente voce interiore vi addentrate in ramificazioni quasi immaginarie. Chiudete gli occhi per un momento e sognate luoghi antichi, inesplorati, quasi fiabeschi, sottoterra… voi che nel buio con torce, attrezzature, sacchi, bombole e altro chiudete la vita esterna alle vostre spalle per esplorare un mondo diverso. Adrenalinico? Spaventoso? Forse tutto ciò o niente di questo, ma c’è chi delle grotte fa un’idea di vita e ci sono grandi esploratori-speleosub della nostra meravigliosa Italia, sebbene questi si possano contare sulle dita di una mano. Approcciata da non molto alle immersioni in grotta ho avuto la fortuna di poter raccogliere la testimonianza di un uomo che rappresenta in pieno questo fantastico universo oltre limite. Non ho bisogno di aspettarlo – puntuale, impeccabile, sorridente, dai modi semplici e alla mano, si atteggia come uno qualunque, anche se proprio qualunque non è – così lo coinvolgo subito nel regalarci un po’ di lui e farci vivere la sua passione partendo dalla persona.

Luca… chi è Luca Pedrali?
«Uno che non molla mai! Sono testardo, competitivo, battagliero, orgoglioso e molto fortunato. Testardo, perché quando mi fisso di fare qualcosa non demordo e lo dimostrano le immersioni nelle grotte più profonde d’Italia. Molti mi dissuadevano dicendo che non ce l’avrei mai fatta e gli ho dimostrato che si sbagliavano nonostante avessi problemi alle ginocchia. Competitivo: voglio essere il numero uno. Mi piacciono le sfide, mi piace vincerle. Non per gli altri, ma per me. Un uomo fortunato nella vita conoscendo mia moglie Nadia e nel lavoro nel quale credo e che ritengo di fare al meglio. Da entrambe ho avuto delle ottime soddisfazioni. Battagliero: nella speleologia subacquea ho sofferto tanto e ho lottato tanto. Sofferto perché a causa di questa mia crescita – avvenuta anche in termini di notorietà – ho perso tanti amici, o che credevo tali. Ogni giorno cerco di dimostrare che valgo e sono certo che ci sto riuscendo anche a 50 anni.»
Cosa fai nella vita?
«Ho un’impresa edile. Sicuramente di subacquea non vivo, anzi.»
So che ti piacciono gli animali e quindi ti pongo una domanda un po’ strana… Se ti chiedessi di identificarti in un animale, quale sceglieresti?
«Il cane. Perché sono un selvaggio, mi piace essere dinamico, libero e impegnato sempre in qualcosa di nuovo e come il cane sono fedele all’uomo e sono vero. E poi… ho due cani che amo e mi seguono spesso nelle mie avventure.»
Da ragazzino sognavi di diventare speleosub?
«Assolutamente no. Avrei voluto essere paracadutista! Ci ho provato, non mi hanno preso, ho pianto tantissimo e mia mamma dandomi del folle mi consolava dicendo che non avevo capito niente, ma che era meglio così, troppo pericoloso. (Spontaneamente scoppia in una risata – ndr). Poi… grazie a mia moglie Nadia, ho conosciuto la subacquea.»
Hai fatto corsi per accedere alle grotte?
«Assolutamente si, nel 2005. Devo dire che è stato il corso più bello ch’io abbia mai fatto, anche perché mi ha impegnato veramente tanto a pieno ritmo 7 gg su 7, dalle 7:00 di mattina fino alla mezzanotte e sempre a parlare di speleo subacquea e a imparare, cercare di capire, ascoltare, mettere in pratica sia in sagolature asciutte che in immersione. Ed è così che sono tornato da Lot in Francia, dove ho svolto i corsi (regione a metà Pirenei considerata un Eden dagli speleosub per la pace, la tranquillità e le innumerevoli cavità – ndr) che non capivo più niente dalla felicità e la prima cosa che ho fatto è stata quella di correre ad addentrarmi nella sorgente Bossi. Ti dirò di più, dopo una settimana ero così tremendamente carico di positività che ho comprato anche il “reb” (rebreather) per poter accedere ovunque!»

Sei partito come “cave”?
«No, io sono un subacqueo proveniente dal lago come tanti, ma dopo aver visto certi mondi paralleli… mi ci sono buttato.»
C’è qualche altra passione nella tua vita oltre la grotta?
«No, assolutamente no. Amo ciò che faccio con una intensità talmente forte che non lascia spazio ad altro e mi appaga a sufficienza.»
Ora sei diventato anche istruttore “cave”… qual è il motivo che ti ha convinto a fare questo passo?
«Quello che ho acquisito in quasi 10 anni è un gran bel bagaglio tecnico, che non impari sui manuali, ho sentito giunto dentro di me il momento di trasmetterlo ad altri. Penso di avere fatto la scelta giusta perché insegno prima di tutto la passione e il rispetto per le grotte. E se un domani un mio allievo mi supererà sarò contento di portargli le bombole! Anzi sarebbe una vera soddisfazione.»
C’è differenza tra “speleosub” e “sub in grotta”? … Se si, cos’hanno di diverso e cosa in comune?
(Luca trattiene a stento una risatina sotto i baffi prima di rispondere… – ndr).
«La differenza è che uno speleosub deve avere una conoscenza molto approfondita della grotta e della sua conformazione, di come ci si va, delle attrezzature, deve essere un bravo subacqueo, deve essere uno che osa… E’ un esploratore che sa addentrarsi nell’ignoto ma sa anche esattamente come comportarsi. E’ colui che sa tirare una sagola dal nulla e sa distinguere un tipo di ambiente da un altro. Diciamola tutta, chiaro e tondo: non puoi essere un esploratore se non hai quel “grillo” (espressione con cui Luca indica quel guizzo di follia nell’innata attitudine a fare ciò che fa – ndr) che non è da tutti e in più non lo acquisisci, devi esserci nato. Devi sentirlo dentro e non è una cosa che chiunque possa dire di provare; poi va migliorata, approfondita nel tempo e gestita. Il “caver diver” o sub da grotta invece è quel sub che ha giustamente conseguito dei brevetti facendo dei corsi sulla progressione in cavità allagate, dove accede più o menofacilmente ma sempre seguendo una sagola senza la quale non potrebbe proseguire. Diciamo che al confronto del primo può farsi dei buoni giretti turistici che gli permetteranno, con l’esperienza e ciò che ho detto prima, di diventare uno speleosub sempre migliore. Troppo spesso accade che sub non brevettati e ignari delle possibili conseguenze si spingano oltre i loro limiti e le loro conoscenze, inconsapevoli del pericolo cui vanno incontro.»
Hai consigli per chi volesse cimentarsi in questo mondo?
«Innanzitutto di non tener conto dell’anagrafe perché non c’è età, parlando sempre di adulti s’intende, trattandosi di un’esperienza che va vissuta con consapevolezza. Non è semplice e si può fare in vari modi, però deve piacere, questo si. Sicuramente per capire a fondo ciò che si va a vedere sarebbe meglio fare un corso speleo aereo oltre che un cave. Due corsi diversi, ma insieme sono una bomba. È un mondo fantastico, unico.»

Perché la grotta?
«Perché mi piace la montagna, mi piace scovare da dove arriva l’acqua o dove va a finire, cercare i passaggi e le sue gallerie. Meglio ancora trovare i fossili, è il mio sogno trovarne uno di qualche animale preistorico… Poi amo la pace che trovo sotto terra, il silenzio, nessun rumore, niente casino né gente che rompe le scatole. Trovo la pace, sono io e la grotta, lì sono padrone di me stesso e decido io quando e come fermarmi. Io o lei. Noi due e basta, senza competizione o altro. Ti parrà strano, ma spesso parlo con la grotta. Per esempio, alla Grotta del Falco, nell’ultima esplorazione degli Alburni, superato i due sifoni e camminando in questi ambienti immensi, canticchiavo e le parlavo, le chiedevo dove volesse condurmi, le promettevo di seguirla e di ascoltarla, sento i suoi rumori, il suo respiro. Per me è viva. E tutto è stato registrato dalla GoPro. Sembravo matto. In grotta mi trasformo, mi sento in un percorso extraterreno, un viaggio per pochi.»
Cosa ti spinge a rischiare esplorando?
«Quando faccio esplorazione, sono consapevole di ciò cui vado incontro, conosco i rischi, ma questo è ciò che mi piace fare e lo voglio fare. E’ questa la spinta!»
Per praticare speleosub ci vuole… un fisico bestiale?
«No, bestiale assolutamente no. Ma seguire questa passione è pesante, bisogna tenersi in forma, avere a cuore se stessi. Curare con continuità una buona alimentazione e un fisico allenato è importante. Ora io sono un po’ giù di tono e me ne accorgerò appena rientrerò tra poco a fare quelle esplorazioni che ho in programma.»
Che cosa ti frulla in testa? Che obiettivi hai nel cassetto?
«Mi sono concentrato sul meridione in questi ultimi due anni perché ci sono moltissime grotte che sono state esplorate tantissimi anni fa e visitandole mi sono accorto che questi esploratori si erano a un certo punto fermati, mentre c’erano ancora una moltitudine di sifoni nuovi e cavità abbandonate da tempo. Cominciando a farne una, poi due …ho capito che questi sifoni davano la possibilità al di là del tratto allagato di prosecuzioni in aerea di nuove cavità fuor d’acqua da esplorare e di nuovi condotti da capire e topografare. Obiettivo a mio parere molto importante con l’opportunità di donare i dati alla speleologia italiana per ampliare la mappa geografica sotterranea di tutte le grotte del nostro Paese.»
Fammi capire meglio, vorresti dire che fare immersione in grotta non è solo fine a se stesso?
«Esatto. Infatti mi chiamano la maggior parte dei gruppi d’Italia come riferimento. Io non ho un gruppo fisso, ne ho mille, ovunque abbiano necessità del mio aiuto io mi rendo disponibile. L’obiettivo di ciò che facciamo è innanzitutto capire da dove arriva l’acqua e dove va, perché noi siamo abituati a non guardare oltre. In poche parole noi andiamo nei livelli di base che sono i punti più profondi della grotta, dove l’acqua forma dei laghi e da lì poi “sifona” il suo percorso verso valle, verso i fiumi. Tutto questo poi viene utilizzato dai geologi per studiare la conformazione del nostro pianeta. Ora mi sono affezionato a un gruppo delle montagne di Alburni nel Salento, dove ci sono tanti sifoni e per tutti i gusti e, aiutato dalla gente del posto che conosce le grotte, prendo volentieri consigli da dove partire per poi raggruppare dati e creare una rete sommersa di grotte con relativa mappatura.»
Oltre a questa motivazione cosa ti spinge a infilarti in buchi spesso inesplorati?
«Mi piace l’idea di scoprire nuovi mondi, l’emozione quando sai che la tua luce è la prima in assoluto a illuminare gallerie che da quando sono nate migliaia di anni fa non sono mai state violate da un uomo. L’idea di essere il primo.»
E’ nata in te prima la ricerca scientifica o la ricerca di adrenalina?
«Diciamo che è nata prima la ricerca di adrenalina ma poi mi è piaciuto approfondire e dare un senso più utile alle mie scoperte. Così, attraverso una maggior consapevolezza, la ricerca è diventata scientifica.»

Come è visto il mondo degli speleosub dal loro interno? Ci sono competizioni, regole o altro?
«La competitività si e purtroppo talvolta con eccessi che non ci fanno del bene. Spesso vengo invitato dai gruppi speleo di varie parti d’Italia e questo mi ha creato un po’ di problemi, perché la speleologia italiana è rimasta un po’ rustica, un po’ all’antica. Dove ci sono ancora dei gradi da rispettare, non è come nel lago che si butta al largo la boa e si va a fare l’immersione, in grotta non è così: in certe grotte non ci si può arrivare, devi chiedere il permesso e se sei fortunato e sufficientemente “diplomatico” hai via libera… altrimenti no! Potremmo quasi parlare di una sorta di “nonnismo”! È un argomento di cui da poco si comincia a trattare, troppo di recente per poter considerare abbattibili questi inutili paletti…»
Capisco che sia un argomento delicato, ma insisto… Se puoi, hai qualche esempio da farci?
«Ma certo. Per esempio l’esplorazione nella grotta più profonda d’Italia (è in Toscana sul massiccio delle Alpi Apuane, nel paese di Minucciano e il suo ingresso si trova a una quota di 1.750 metri sul monte Tambura. La grotta è profonda 1.360 metri di cui 10 sott’acqua. Quindi i record sono stati due: l’immersione più profonda fatta in profondità e la grotta più profonda, tra quelle non sommerse. La più profonda sommersa è il pozzo del Merro vicino a Roma: circa – 340 metri – ndr): lì ho dovuto subire un autentico sabotaggio, mentre eravamo in esplorazione a – 1.360 metri sotto terra. Devi solo pensare che per allestire un’immersione in questi ambienti non ci si mette un giorno: c’erano voluti diversi mesi e molte uscite. Abbiamo scelto questa perché era stata abbandonata da più di 20 anni dopo che erano arrivati a un certo sifone e parliamo degli anni ‘90! Ci siamo calati, abbiamo armato con chiodi la parete e posizionato le corde per poter scendere con i campi base, con tende e viveri per riposarci tra una immersione e l’altra, quindi carichi di attrezzature necessarie. Non è una cosa semplice perché ci sono percorsi ostici, ci sono delle strettoie, passaggi sull’acqua, insomma tanti problemi che puoi trovare già senza che qualcuno te li crei … e dopo aver preparato tutto questo, il giorno finalmente stabilito per l’esplorazione, troviamo la sorpresa: tutto era stato rimosso! La prima squadra che era entrata ha trovato le corde tagliate o manomesse! Abbiamo dovuto lavorare 24 ore ininterrottamente per ripristinare il tutto. Tu pensa con che testa mi sono trovato a fare quell’esplorazione, così importante per me per vari motivi, la soddisfazione di una grotta così densa di significati, la grotta più profonda d’Italia. Non sapevo cosa mi aspettasse, non conoscevo il sifone, non c’erano fotografie, c’erano solo racconti. E quei dispetti di cattivo gusto certo non m’erano d’aiuto, non ci volevano. Sono arrivato al sifone arrabbiato e nervoso, la fangosità e la visibilità orribili… ma grazie alla mia testa dura, nonostante tutto sono andato oltre senza mollare. E ce l’ho fatta! Doppio record! Ma quella del sabotaggio è stata una cosa davvero triste per l’immagine stessa della speleosubacquea verso il mondo e nei confronti degli appassionati.»
Cosa provi ogni volta che affronti una grotta, sapendo di dover partire da zero nella preparazione, ricerca ecc?
«Ammetto che è pesante, però a me piace divertirmi e affrontare con un sorriso la nuova avventura. Mi piace creare un buon clima, specialmente per la gente che lavora con me che dev’essere tranquilla. Lavora tantissimo, senza dubbio per preparare il tutto e io in cambio cerco di portare a casa dei risultati anche per non deludere nessuna di queste persone.»
Ti senti un leader?
«Io divento leader dal momento che siamo quasi in fondo al nostro obiettivo, perché il team si affida moltissimo a me. Sulle procedure, sulla scelta dei ruoli e dei compiti lascia a me la scelta, a volte delego, in quanto ognuno è bravo in qualcosa – magari in certi compiti pure migliore di me – poi, se le circostanze per qualche motivo si complicano, allora intervengo prendendo in mano la situazione. Un team unito è importante e a capo ci deve sempre essere un leader.»
Potremmo dire che per essere un “buon speleosub” è essenziale unire la speleologia al cave diver?
«Sicuramente si! Ma non basta. Il top sarebbe avere al tuo fianco sempre persone che conoscono bene le grotte, che ti danno consigli, che ti danno dritte su quando arrivano o meno le piene. Così si forma un buon team, il team perfetto e spesso nel team c è anche Nadia che mi dà sostegno.»
A proposito di Nadia… lei è tua moglie ed è anche una brava speleosub.
Sappiamo che fa immersioni ed esplorazioni con te. Come vivi queste avventure a due?
«Bravissima speleosub, non sempre facciamo le cose insieme, anche lei si è fatta qualche sua piccola esplorazione impegnativa. C’è da dire che la donna in questo ambiente di speleosub non è vista molto bene. Nella testa di molti speleologi ci si immagina lo speleosub come un uomo forte, quello che rischia, una sorta di Superman, quello che ha secoli di esperienza e magari la barba sfatta, di donne in circolazione vere subacquee ce ne sono meno che poche.»
Mi stai dicendo quindi che ci vuole un particolare fisico?
«Ci vuole fisico, si, però nel senso che abbiam detto. Ma anche testa. E per fisico intendo una buona preparazione atletica.»
Una donna come Nadia?
«Lei è una che non smette di allenarsi, si è fatta le sue esplorazioni e giustamente la reputo una donna speleosub alla grande.»
Lei ha un fisico esile e femminile, dunque non serve essere 1,90 cm per parecchi kg di muscoli?
«No, bastano un fisico tonico, buona resistenza e una grande, grande testa.»
C’è mai stata rivalità tra voi due?
«…mmmm forse un paio di volte. In una che ricordo, c’era stata discussione per un paio di cavità e gli ho detto: “…guarda Nadia, quando tu ti fermi io so che devo continuare!” Un po’ da prima donna ma funziona. Ed è ancora così. Ci stimoliamo e motiviamo a vicenda.»
Una rivalità costruttiva insomma?
«Esatto. Lei si leva le sue soddisfazioni e io le mie con una rivale complicità.»

Quante esplorazioni di nuovi sifoni hai alle spalle?
«Siamo a 30 esplorazioni, tra queste alcune importanti. Una è la grotta Grava Rotolo, più fonda della Puglia, ad Alberobello, la città dei Trulli, con una profondità di – 61 metri in acqua e con circa 200 m di penetrazione stando quasi sempre a quelle quote.»
Il sifone più profondo in penetrazione?
«Sifone Smeraldo, grotta Bueno Fonteno a Fonteno (Bg), 27 km di gallerie, sopra il lago d’Iseo. Chiamato anche “Abisso Bueno Fonteno” ha circa – 600 m di dislivello e si trova a 3 km dall’ingresso, dove bisogna calarsi per circa una ventina di pozzi con pesanti sacchi di attrezzatura per l’immersione per raggiungere il sifone.»
Immagino che certe esplorazioni in grotta tra zone aeree e bagnate richiedano anche di rimanerci parecchio tempo, pensando a te mi viene in mente un film visto al cinema… Quanto tempo massimo sei dovuto permanere in una grotta per realizzare l’esplorazione?
«Esattamente 5 giorni! Eravamo attrezzatissimi, sacchi a pelo, tende, viveri… Abbiamo creato un vero e proprio campo base dove tornare tra una immersione e l’altra per ricaricare le bombole, caricare i video, confrontarsi e stendere una piccola relazione, cosa quest’ultima molto apprezzata in queste situazioni, un po’ come il giornale di bordo, dove viene annotato tutto minuto per minuto, i nomi dei collaboratori, perfino le eventuali tensioni emotive. Anche perché nella profondità della terra non c’è vita visibile, non ci sono rumori, se non quello del silenzio, è sempre notte e sei solo con la “S” maiuscola. E allora scrivere e documentare come vive il gruppo, cosa che solitamente fanno altri del mio team, può tenerti collegato al mondo esterno.»
C’è stata un’immersione che ti ha creato una tensione, o comunque malessere psicologico o paura vera?
«Si, eccome! Proprio l’esplorazione nella “Bueno Fonteno”, nella quale ho provato lunghi minuti di tensione. Beh! Mi trovavo in immersione sul precipizio del pozzo da – 50 m con a spalle il rebreather, tre bombole di bailout e le pinne lunghe tipo apnea e ho dato una pinneggiata che ha fatto cadere una montagna di fango. L’esplorazione era appena iniziata e nella mia mente ho rivisto tutto il mio team che trasportava i 27 sacchi di attrezzatura sub solo per quella giornata, più i mesi di duro lavoro per preparare le corde e il campo base. Non potevo tornare indietro! A quel punto sono sceso in velocità cercando di superare la torbidità, ho seguito il pozzo con stretta la mia sagola in mano, sono entrato nella galleria orizzontale a – 55 m ma il fango m’inseguiva… pareva di avere un drago che mi raggiungeva e io pinneggiavo più velocemente possibile per sfuggirgli, sempre con il dubbio di farcela. Ammetto che sono stati momenti veramente duri, la mia mente vagava tra la paura e il coraggio, fortunatamente sono stato più veloce del drago – o lui s’era stancato – e ho trovato la visibilità. Lì mi sono rilassato e sono riuscito a continuare la mia esplorazione fino ai 550 m, fino a quando un campanello d’allarme ha iniziato a suonarmi dentro e mi diceva di tornare e così ho fatto. Momenti difficili da gestire. Ho ritrovato ancora il fango al rientro, ma nel risalire sapevo che avrei trovato Nadia ad aspettarmi e quando ho visto le luci, era come vedere il Paradiso! Mi è partita nuova adrenalina e l’enfasi di sapere che ce l’avevo fatta è stata incredibile. Eravamo infatti d’accordo che il Team mi avrebbe aspettato dopo circa 3 h dalla mia partenza. È stata dura, ma ero riuscito a fare l’incredibile!»
Ho visto dei tuoi filmati e sono spettacolari da far venir voglia di seguirti a chiunque. Intanto che ci prepariamo per diventare dei bravi speleo hai un paradiso speleosub da consigliarci prima di salutarci?
«Per me è la regione del Lot, in Francia, lo definirei il paradiso della speleosubacquea europea. Un posto incantato, tra i boschi in stile Robin Hood, le grotte d’ogni tipo – preistorico e non –, poco turismo e tanti subacquei che condividono la stessa passione. La mia passione, la vostra passione!»
Vedo dalla tua espressione che vuoi aggiungere qualcosa per concludere in bellezza?
«Mi piacciono i personaggi che sfidano l’avventura… Non ho portafortuna, credo in me, fra tre settimane tento un sifone in una grotta in Toscana … Sopra la risorgenza Renara dove sono riuscito a scendere a – 90 m e proseguire per oltre 500 m. Sarebbe un sogno la giunzione!»

2 Comments

  • Isabelle
    Posted 20 Gennaio 2016 11:43 0Likes

    Buongiorno Max,
    Grazie per aver letto il mio articolo e mi dispiace che in qualche modo l’abbia infastidita.
    Per il nome alla sua foto abbiamo provveduto immediatamente.
    Non per voler prendere difese del sig, Pedrali, ma nelle sue risposte mi pare che esprima gratitudine ed estremo rispetto per tutti i ruoli necessari perché una buona esplorazione avvenga.
    Ammiro chiunque si addentri in questi affascinanti mondi e spero che voglia cogliere il lato positivo di ciò che si è cercato di trasmettere con l’articolo.
    Non sono stati fatti i nomi di tutte le associazioni a cui Pedrali ha partecipato solo per motivo di spazio.
    Spero di avere presto modo di ascoltare anche le vostre avventure.
    Grazie
    Isabelle

  • La Redazione
    Posted 27 Gennaio 2016 20:49 0Likes

    Cari lettori, a causa di alcuni commenti pervenuti in redazione ma impubblicabili per il livello di espressioni offensive che contengono contro individui e per il fatto che attengono evidentemente a una sfera troppo personale nei rapporti tra gli stessi, tale da riguardare poco o nulla i contenuti degli articoli, SerialDiver si avvale del diritto di pubblicare, non pubblicare, modificare e anche rimuovere in toto o in parte quei post di commento che ad altro non servono se non ad aizzare discussioni inutili per il puro piacere della rissa e della denigrazione gratuita.
    Non è certo questo il senso di “community di subacquei” che vorremmo trasmettere, né tantomeno favorire un’impressione del genere tra il pubblico esterno al nostro settore. Libertà di esprimersi non può significare facoltà d’insultarsi.

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