Siamo arrivati al cuore della nostra serie sulle metodologie formative con questa 3^ puntata. Per sviscerare divertimento, piacere, filosofia, disciplina, finalità e configurazioni secondo membri PADI, GUE, SSI, UTD e TDI.

A cura di Giorgio Anzil

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Vi abbiamo lasciato con il possibile bullismo e con alcuni aspetti della configurazione hogarthiana, per arrivare ai consigli di Aldo Ferrucci e alla subacquea vista da IANTD di Fabio Ruberti. Ora ci dedichiamo al divertimento/filosofia con Pierluigi Gagliardi – PADI. Presenteremo alcuni aspetti tecnici e scopriremo che in fondo non è vero che se fai un corso in stile hogarthiano devi per forza comprare quell’attrezzatura con quel marchio. Prendetene atto: sono solo dicerie, lo garantisce Mario Arena. Inoltre, con Andrea Costantini di SSI e Flavio Turchet UTD cercheremo di capire quando giunge il momento per spostare l’attenzione da subacquea ricreativa a tecnica o “dir style” e con Aldo Ferrucci no disciplina e filosofia, ma svago e piacere.

Andrea Costantini, quando può essere logico secondo te insegnare il sistema hogarthiano?
«A mio parere il sistema hogarthiano prevede una certa confidenza con l’attrezzatura e, nello stesso tempo, non ha quella “semplicità” della configurazione classica ricreativa. Nel mondo della subacquea ricreativa, in particolare di primo livello, bisogna dare la sensazione che la configurazione sia un argomento semplice e che non debba prevedere particolari capacità, deve essere così perché è un mondo aperto a tutti: maschi femmine e bambini, che prevalentemente svolgono l’attività limitata a qualche mese l’anno, quindi semplicità e comfort prima di tutto (anche perché non si ha l’esigenza di nessun tipo di ridondanza e, diciamoci la verità, non si è assolutamente in grado di far fronte a nessuna emergenza). Se poi vogliamo spingere la configurazione hogarthiana, il momento giusto è quello in cui un subacqueo almeno “Advanced”, vuole qualcosa di nuovo e magari ha acquisito quella minima esperienza che lo porta a rinnovare la sua configurazione, avvicinandosi così ad un mondo che non è sicuramente quello tecnico ma che lo faccia veramente sentire “Avanzato”, con inoltre qualche elemento di sicurezza in più. Questo è il momento in cui, secondo un mio personale parere, si può inserire nella configurazione del subacqueo, un 7+7 con gav semi-ricreativo e configurazione hogarthiana. Più sicurezza, più ridondanza e vantaggi per l’industria della subacquea in genere che potrebbe proporre un qualcosa di diverso».

Dalla tua esperienza professionale, dovendo fare anche dei corsi durante una breve vacanza, avresti il tempo necessario per insegnare il sistema hogarthiano o è meglio orientarsi su un corso ricreativo?
«Sicuramente per un corso di primo livello fatto durante una breve vacanza, non c’è il tempo di insegnare il sistema hogarthiano come non c’è neanche il tempo, secondo me, di insegnare gran parte della subacquea. Bisogna dare all’allievo le nozioni di cui ha bisogno per fare ciò che vuole fare in quel momento e cioè: immersioni poco profonde, in comfort, sicurezza e senza troppi “pensieri” con il massimo divertimento in acqua. Quindi poche nozioni indispensabili e poi tanta acqua e divertimento spensierato, se possibile. In un secondo momento si può pensare ad altro».

Diventa una necessità passare da un sistema ricreativo a hogarthiano?
«Sicuramente non è una necessità, potrebbe essere un’opportunità per capire l’importanza di una configurazione standardizzata, ridondante e sicura per se e per il compagno, questo lo si può avere solo dopo aver acquisito una discreta esperienza in questo mondo ed una confidenza con i singoli elementi dell’attrezzatura. La necessità di proporre qualche “novità” viene sopratutto dalle esigenze dell’industria della subacquea, poi c’è il subacqueo curioso, con un minimo di disponibilità economica che vuole sentirsi più in alto del ricreativo ma senza per forza approcciare al tecnico puro».

Passare a una configurazione hogarthiana non è una necessità, però Flavio quali sono i vantaggi nel farlo?

Flavio Turchet: «UTD, che trova le radici nel sistema d’immersione DIR/hogarthian, ha costruito un sistema didattico estremamente solido basato su tre punti cardine: coerenza, modularità ed intercambiabilità. La coerenza è data dal fatto che il sistema d’immersione DIR/hogarthian venne elaborato per immersioni di estrema complessità. Lunghe e profonde penetrazioni in ambienti claustrofobici come le grotte, con enormi quantità di attrezzature, bombole e scooter la cui gestione prevedeva molto allenamento e grande determinazione. Tutto questo bagaglio di informazioni acquisite in anni di esperienza è stato messo a disposizione del subacqueo ricreativo che avrà la possibilità di imparare l’uso di una configurazione dell’attrezzatura della quale non dovrà cambiare niente ma aggiungere coerentemente sempre qualcosa in base alle future esigenze d’immersione. In base poi al principio della modularità dalla semplice attrezzatura di base ricreativa il subacqueo integrerà gli strumenti delle sue successive esperienze di crescita senza il problema di dover cambiare alcunché. Tutto trova già il proprio posto all’interno della configurazione e niente sarà in conflitto con la memoria muscolare appresa e consolidata nei corsi base. Questa è la nostra lettura di un mondo subacqueo moderno e credo che ciò sia in grado di rappresentare un sorta di unicità filosofica nel panorama delle agenzie didattiche odierne».

A questo punto vien da chiedersi: ma il divertimento in acqua cambia? Per capire questo non possiamo che chiedere a PADI – che ha coniato lo slogan DIVE IS FUN – cosa ne pensa. Pierluigi Gagliardi, Consultant, Training and Quality Management, ci spiega cosa intende PADI per divertimento durante l’immersione:

«Il divertimento è nel codice genetico della subacquea, anche per chi lavora in questa industria, la passione resta la scintilla che fa partire il motore. Un istruttore che si diverte è già a mezza strada nell’arduo percorso dell’essere un buon educatore e modello di ruolo. A prescindere dalle tecniche e dalle configurazioni usate – a patto che queste siano sicure ed accettate dalla comunità subacquea – un istruttore con passione formerà divertendo ed i suoi studenti impareranno senza il peso o l’ansia che a volte contraddistingue l’apprendere una attività psico-motoria».

Devo ammettere che somiglia molto ai nostri politici, però come dare torto: in fondo è una passione!

Certo, la passione è il motore di questa attività, poi ci sta che qualcuno la definisca disciplina – a certi livelli lo è – altri preferiscono definirla filosofia, fate un po’ come volete, una cosa è certa: la subacquea è una scelta di vita, un modo di essere unico, inimitabile, assolutamente fantastico. Voi come la definite?

Aldo Ferrucci amplia l’argomento offrendo le definizioni delle singole parole:

«Filosofia: attività intellettiva mirante all’indagine critica e alla riflessione sui principi fondamentali della realtà e dell’essere.
Disciplina: il complesso di norme che regolano la vita di una collettività, spec. religiosa, scolastica, militare; l’osservanza senza riserve di tali norme: mantenere, far rispettare la d.; osservare, violare la d.
Direi che mentre la prima mi sembra troppo lontana da quella che potrebbe essere una definizione di subacquea, la seconda sotto alcuni aspetti gli si avvicina molto».

Per poi scegliere quella che per lui meglio rispecchia la realtà:

«In ogni caso io non userei nessuna delle due definizioni.
Secondo me la subacquea dovrebbe essere e rimanere uno svago e un piacere: un modo per essere in contatto con la natura e conoscere quella parte del nostro pianeta. Le tecniche di immersione, la sicurezza, e la disciplina devono essere un mezzo e non un fine, che è quello di godere a pieno delle bellezze della fauna e flora acquatica. Per prima cosa bisognerebbe insegnare ai subacquei amore e rispetto per il mare, il piacere di scoprire nuove forme di vita, la sensazione di volare sott’acqua in assenza di peso. Le tecniche di immersione, e la sicurezza applicate a raggiungere questo scopo, formeranno un ottimo subacqueo che continuerà ad amare il mare per molto tempo se non per sempre. Se invece la perfetta tecnica e la disciplina sono il fine principale dell’addestramento, una volta raggiunto il livello desiderato, una volta raggiunto questo, il subacqueo perderà interesse avendo raggiunto il traguardo.
Bisognerebbe apprendere alla gente, che si possono fare decine di immersioni sul medesimo sito, e con le buone conoscenze, si tratterebbe di immersioni diverse ogni volta. Invece siamo arrivati al punto di fare tacche sulle pinne per ogni immersione fatta, e che non è interessante ripetere. Ho visto una volta un subacqueo tecnico, immergersi su un relitto famoso. A causa della corrente molto forte non è stato in grado di visitarlo ma di vederlo solo per qualche secondo da una decina di metri. Nei giorni seguenti, quando abbiamo programmato di nuovo l’immersione, l’ho invitato ad unirsi a noi, e la sua risposta molto secca è stata: perché dovrei rifare un’immersione già fatta?»

E’ il momento di sfatare un mito: didattica/attrezzatura. In giro alcuni subacquei sostengo che se vuoi essere un subacqueo “x y z” devi avere non solo l’attrezzatura adeguata, bensì marchiata con quello specifico brand. Sarà vero? Nessuno meglio del nostro amico Mario Arena potrebbe illuminarci.
Per questo abbiamo pensato di porgli tale domanda.

Se il sistema prevede la stessa configurazione, per quale motivo le didattiche sono legate al loro brand tecnico? Cosa vuol dire? Se non hai quella attrezzatura non sei dei nostri o cosa? 

«Credo che nessuna didattica – sicuramente non la GUE – imponga, o anche solo raccomandi, uno specifico brand di attrezzature. La GUE impone dei requisiti in termini di attrezzature che probabilmente non hanno precedenti nella storia della subacquea sportiva: richiediamo un equipaggiamento standard, quindi uguale per tutti. Questo requisito si riferisce però esclusivamente a specifiche caratteristiche tecniche non a dei marchi».

Quindi Mario l’unica cosa che viene richiesta è l’ottimizzazione della attrezzatura stessa?

«Certo. L’immersione SCUBA è un’attività “equipment intensive” cioè che richiede un sacco di equipaggiamento. La quantità di attrezzatura che portiamo in acqua è davvero notevole e in alcuni componenti è critica per la sicurezza o addirittura di “supporto alla vita in immersione”. Data la quantità, l’attrezzatura può facilmente diventare un problema in immersione, causando stress e situazioni che vanno dal ridicolo al pericoloso. Per questo ha bisogno di essere ottimizzata e non lasciata all’improvvisazione. Alcuni criteri generali da considerare nel valutare o mettere assieme un equipaggiamento da immersione sono: minimalismo – quello che non serve non si porta; corretto bilanciamento in termini di assetto – non essere sopra o sotto zavorrati; idrodinamicità e ideale posizionamento delle componenti; standardizzazione nella squadra; consistenza e logicità delle scelte».

Torneremo a breve dove parleremo ancora di Concetti, Obiettivi e Addestramento. Risponderanno alle nostre domande Mario Arena GUE, Rolando Di Giorgio UTRTek e Aldo Ferrucci TDI.
Coglieremo l’occasione anche per proporvi un interessante progetto del Portofino Divers centro storico GUE.

Continua…

La subacquea consapevole

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