Ma lo chiamano anche “Gradoni”. Per la serie “quando il lago regala emozioni oltre ogni aspettativa”.

Testo Isabelle Mainetti. Foto Pino Piccolo.

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Collocata sulla costa dell’alto lago di Garda della parte bresciana, nella località di Tremosine, terminata la lunga galleria direzione Limone, si trova accessibile dalla strada quello che è a mio parere uno dei più bei siti di immersione, con scelte di profondità quasi illimitate: è detto il Marciapiede o Gradoni. Tremosine è un paese incantato ritenuto da molti tra i più suggestivi, dove la natura è arte, dove paesaggi alpini si intrecciano con le acque del lago, dove la calma dell’azzurro si interseca con lo scenario duro delle ripide rocce. Nel 1913 un corrispondente della Frankfurter Zeitung la definì «la strada più bella del mondo». Stamattina siamo in tre, Pino, Roby ed io, pronti per l’ennesima avventura per la quale ci siamo presi la giornata così da gustarci ogni secondo con calma. È primavera avanzata e la temperatura mite ti coccola delicatamente. Scesi dalla macchina lo spettacolo è sublime come sempre, mi adagio per qualche minuto sul muretto ad ascoltare il lago con i suoi silenzi, il vento tra le foglie, il sole che brilla sull’acqua e la visione del monte Baldo di fronte che si erge imponente a contrastare il panorama quasi marittimo. Il richiamo a entrare nel mondo sommerso è forte, lo senti nel cuore come se una mano uscisse dalle acque e te lo prendesse con forza. Ti domandi come potresti – ora che sai – essere in un posto così senza poter scavalcare la soglia del profondo ed immergerti. Il rituale vuole che si vada tutti e tre a fare riverenza al lago in segno di rispetto e di saluto scendendo dal sentierino un po’ ripido dallo stradone verso la piccolissima spiaggetta resa più accessibile da una passerella con gradoni in griglia di ferro. Scarichiamo l’attrezzatura portando le stage a riva e poi … pronti! Bibombola a spalle, 4 stage e tanta energia. Scompariamo nel nulla per il mondo esterno ed entriamo nell’altra dimensione, quella sommersa. Una cima che segue il canalone leggermente declive ci accompagna fino alla Terrazza per poi scendere fino a circa 145 m, tenuta in tensione da un’ancora. La partenza apparentemente normale e poco ripida sembra deludere le aspettative, ma un nanetto posizionato sulla destra a circa 28 m fa da guardiano prima di quella che io ritengo la parte più bella, emozionante e adrenalinica dell’immersione, la calata dopo lo strapiombo. Ci arrivi dolcemente per poi trovare di colpo il nulla, l’impressione è quella di buttarsi col paracadute, di lanciarsi dal Monte Bianco e volare verso gli inferi ignoti.

Come sempre, non posso non voltarmi verso la parete e osservarla con ammirazione mentre sono in posizione di planata. Dietro di me il buio totale, ma la sensazione rimane comunque di sentirmi abbracciata da questa meravigliosa emozione, voltarsi verso l’alto e guardare il contrasto dell’azzurro e la roccia della balconata rimane suggestivo, infatti ogni volta che mi giro verso i miei compagni scorgo Pino con la sua macchina fotografica voltato quasi a pancia in su a immortalare lo scenario di una terrazza che sembra viva, che man mano scendi soccombe e ti copre, la cima a lato permette di lasciarsi completamente andare tenendo un riferimento. Ogni tanto devo indietreggiare perché lei, la parete, si allarga verso il lago e rischio di tamponarla. A farci da tappa tenendo invece le spalle alla “signora”, a sinistra intorno ai 60 m troviamo un altro nanetto … Così anche a 95 m e a destra l’ultimo sul confine delle tre cifre, ai 100 m. Per chi volesse fermarsi prima, navigando intorno ai 40 tenendo sempre la parete a sinistra, l’ennesimo nano alle prese con un citofono … forse per quando si sente solo! In troppo poco tempo e quasi senza rendermene conto sono alla profondità decisa e mi tocca fermarmi e iniziare il viaggio in orizzontale e qui, se hai occhi per guardare, non puoi non continuare a far viaggiare la fantasia. Teniamo la parete a sinistra, che più che una parete pare una muraglia di un castello, tanto è vero che la prima volta che l’ho vista credevo che lì sorgesse il maniero d’un vecchio feudo … Narcosi? No, semplicemente le conformazioni a strati e in piccoli blocchi disegnano un accatastamento ordinato di apparenti mattoni posizionati talmente bene che sembrano messi dall’uomo, anche la colorazione è ingannevole perché è leggermente più rossiccia della roccia in superficie. Movimenti di rientranze improvvise, sporgenze quasi regolari formano capitelli ed evocano torrette di avvistamento. La temperatura è circa 9 gradi e la visibilità è buona. Pino mi rincorre per fare le foto, ma sono sempre troppo “presa bene” da ciò che vedo. Ogni tanto crepe verticali creano piccoli incavi dove curiosa mi devo infilare con la testa alla ricerca di non so neppure io cosa. Mah, chissà! Ogni immersione risulta nuova anche perché è una parete purtroppo in continua evoluzione, una struttura in metamorfosi data da continui cedimenti, friabile e calcarea. Fino a un po’ di tempo fa, la grande “muraglia” proseguiva per una buona distanza, ora invece la realtà è mutata, il paesaggio si è trasformato. Probabilmente qualche franata ha giocato con il lago regalando una storia nuova. Quelli che prima erano mattoni ora paiono libri ammucchiati uno sopra l’altro come nel famoso film di fantasia “la Storia infinita”, creando una montagnetta a piramide di scritti gettati a mucchio. Triste l’immagine, e triste il pensiero di qualcosa che sta sparendo e che chissà come diventerà. I 20 min sono passati e cominciamo la risalita tenendo sempre la medesima direzione. La conformazione sinuosa e ondulatoria non è ancora terminata e la seguiamo compiaciuti fino a una rientranza alquanto strana, liscia e color cemento, sembra addirittura rasata a spatola ed è perfettamente incavata, sembra l’anima di un cilindro, suppongo sia causa di qualche corrente che negli anni ha fatto il lavoro di un muratore dando l’effetto intonaco. Risalendo, la parete si normalizza e il chiarore del sole comincia a filtrare. Si potrebbe pinneggiare per tempi quasi infiniti senza stufarsi, ma risaliti ai 21 m la visibilità diminuisce e come sempre una costante leggera corrente smuove la sospensione e coriandoli di conchigliette che a sfiorarle cadono a neve. Decidiamo – almeno per oggi – d’invertire la direzione e portarci verso il punto d’uscita. Il ritorno è comodissimo, la spinta dell’acqua è a favore e ci trasporta senza pinneggiare. Arrivati troppo presto alla grossa catena che ci fa da indicatore di uscita proseguiamo dal lato opposto per una quindicina di minuti dove le spettacolari rocce continuano con balconate e piccole caverne suggestive ricoperte di miriadi di palline di spugna. Oramai a 6 m è tutto pianoro e il paesaggio è rilassante. Il tempo di finire gli ultimi minuti di deco e felici riemergiamo pronti per andarcene a cena! “…luogo è nel mezzo là dove il Trentino Pastore, e quel di Brescia e il Veronese Segnar potrìa, se fosse quel cammino” (Dante – Divina Commedia, Inferno XX)

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