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La vicenda della Concordia ha portato alla ribalta le attività subacquee e i tanti problemi del Mare Nostrum. Però c’è una cosa di cui non s’è mai parlato: e se l’avessimo potuta affondare ad arte?

di Romano Barluzzi, foto di Fulvio Finazzi

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Termine di probabile derivazione militare, “scuttling” dev’essere stato coniato inizialmente per definire l’autoaffondamento preventivo del naviglio, attuato allo scopo di evitarne la cattura e l’uso da parte del nemico, o per sabotare e compromettere l’accesso a percorsi portuali o a rotte altrimenti d’importanza strategica.
Oggi che le guerre ci appaiono lontane, il significato s’è allargato al mondo civile e indica proprio la pratica di affondare deliberatamente unità navali dismesse dai ruoli mercantili o militari, al fine di trasformarle in aree di ripopolamento subacqueo florofaunistico e di richiamo ittico.
Per questa ragione presume uno studio di fattibilità particolare, tendente a individuare soprattutto la posizione e la profondità migliori dove praticarlo. Nei luoghi del mondo dove si sono già avviati progetti del genere (USA, Australia, Cuba, ma perfino Malta in Mediterraneo), di solito si è cercato di attuarlo in zone non solo di possibile richiamo turistico ma anche altrimenti povere o mancanti di altri motivi d’interesse subacqueo.
Ancor prima, richiede una bonifica preventiva completa del naviglio da utilizzare, cioè una serie di operazioni complesse che sarebbero con ogni probabilità responsabili dei costi maggiori, anche se tali spese potrebbero pure da noi – in situazione normativa diversa dalla nostra attuale – trasformarsi in quota parte di un potenziale investimento.
Dunque, a monte dell’aspetto ambientale, persiste il problema maggiore: da noi non esiste ancora legge che preveda di mettere a norma procedure del genere, per cui qualsiasi affondamento disposto volutamente da chicchessia sarebbe illecito. E infatti lungo le nostre coste qualunque oggetto finito sott’acqua, piccolo o enorme che sia, è classificato alla stregua di un rifiuto abbandonato illegalmente. A meno che ovviamente non ci sia finito per inevitabili cause di forza maggiore, come un naufragio. Ora, se questo può da un lato rassicurare sulla indubbia volontà della legislazione di salvaguardare l’ambiente, dall’altro genera il dubbio di una lacuna la cui persistenza impedisce soluzioni differenti e magari ancor più vantaggiose per intere comunità, oltreché altrettanto rispettose dell’ambiente.

Cosa dice la legge… che non c’è (ancora).
In verità qualcosa è stato avviato sul fronte legislativo anche da noi, nel senso che esistono ben due distinte proposte di legge avanzate alla Camera dei Deputati. L’iter legislativo è stato avviato il 15 dicembre 2010 presso la IV Commissione Difesa. All’esame, in particolare, le proposte di legge C. 3626 dell’onorevole Giacomo Chiappori (Lega Nord) e C. 3943 dell’onorevole Di Augusto Di Stanislao (Idv), in merito a “Disposizioni in materia di affondamento di navi radiate dai ruoli del naviglio militare”. Non solo: fanno scuola i molti esempi di naviglio affondato accidentalmente e diventato – anche con studi ambientali a monitorarne l’evoluzione – meta di autentici peregrinaggi di subacquei, come la celeberrima petroliera Haven in Liguria o la nave trasporto laterizi affondata al largo delle coste marchigiane alcuni anni fa, quest’ultima diventata “de facto” un’area di tutela biologica.
Ma è il retroterra culturale che appare ancora lontano anni luce: la vicenda della Concordia, tutt’oggi tra l’altro di estrema attualità, è stata e resta emblematica. Ci siamo chiesti più volte – come probabilmente tutti o moltissimi subacquei – perché non si sia potuto pensare a una soluzione di scuttling proprio per l’enorme nave. Probabilmente un’operazione ciclopica, mai tentata prima. Ma come lo è stato il raddrizzamento della nave, su cui nessuno prima – nemmeno gli esperti – avrebbe scommesso fino in fondo. E ciclopica come sarebbe potuta diventare la mole di attività scaturenti da quello che avrebbe potuto trasformarsi nel più grande relitto sommerso al mondo, a portata di tutti i tipi di subacquei. Accompagnato dalla creazione di un indotto economico durevole e senza precedenti. Quando se n’è fatto cenno, dalle colonne di uno degli ultimi numeri usciti della rivista “Mondo Sommerso”, con dovizia di particolari e di pareri di esperti (tra cui il biologo e tossicologo marino Simone Modugno), a tanti è parsa un’idea assurda. Pazzesca, addirittura. Ma – aspetti legali a parte – sarebbe stata davvero una soluzione così impensabile? E mentre resteremo senza una risposta a questa domanda, il governatore della regione Toscana Enrico Rossi – peraltro noto per posizioni spesso condivisibili in fatto di ambiente e di sviluppo sostenibile – nei giorni del raddrizzamento dello scafo della Concordia sostenne pubblicamente su Facebook il lancio della candidatura di Piombino come luogo ideale per la demolizione dell’enorme relitto, così da rivalutare anche la tradizione del noto polo delle acciaierie della zona, con la creazione di centinaia di posti di lavoro. Si, ma per quanto? Alcuni anni, forse. E poi? La siderurgia, nel nostro Paese, se non è morta ormai poco ci manca. Mentre il turismo, specie quello sulle coste e sul mare, è ancora soggetto a enormi margini di ampliamento, tutti da costruire e sfruttare. Un relitto come quello della Concordia, una volta completamente sott’acqua e reso visitabile in immersione, per una zona come l’arcipelago Toscano costituirebbe un indotto da migliaia di posti di lavoro, in crescita permanente, per chissà quanto tempo. E rivolgerebbe un’offerta del genere a livello planetario, senza uguali nel mondo. L’avvento di un turismo nuovo, del tutto sostenibile e controllabile. Utopia? Nient’affatto, pensiamo noi. Un giorno sarà realtà anche qui. Dove oggi però manca la legge. E dove intanto quel che resta della Concordia, tra non molto, sparirà per sempre.

Difficile, ma non impossibile
Lo scuttling pone problematiche preliminari complesse e, in certi casi, insospettabili. Qualche esempio? La bonifica del naviglio da affondare non può comprendere solo l’asportazione completa di tutti i materiali potenzialmente inquinanti a bordo, cosa già di per sé laboriosissima; bensì anche la rimozione di tutte le possibili fonti di rischio per i futuri visitatori subacquei, come sporgenze, incagli, strutture pericolanti o taglienti, passaggi troppo stretti, ecc. Inoltre, devono essere chiuse tutte quelle vie d’accesso agli interni nave che non restino assolutamente sicure in seguito all’affondamento o di cui non si possa prevedere la resistenza successiva.
Le tecniche per l’affondamento pilotato devono consentire allo scafo il conseguimento dell’assetto di navigazione una volta appoggiato sul fondo: piccoli mercantili, pescherecci oceanici, e altro naviglio di non grosse dimensioni possono essere affondati inondandoli d’acqua dall’esterno, com’è stato fatto a Malta; ma navi più grandi, com’è stato il caso della portaerei statunitense Oriskany, al largo di Pensacola in Florida, nel Golfo del Messico, richiedono l’impiego di speciali cariche “implosive”, cosiddette perché la loro detonazione coordinata e simultanea avviene in punti particolari della nave in cui l’afflusso d’acqua dall’esterno viene indotto “per risucchio” dall’esplosione stessa. Se non viene acquisito l’assetto di navigazione, il relitto diventa inservibile all’esplorazione che non sia solo esterna, perché l’ingresso all’interno esporrebbe i sub al rischio di cedimenti di strutture venute a trovarsi in condizioni di ripartizione del carico diverse e talvolta opposte a quelle di progettazione originaria della nave.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Eppure, tecnicamente, resta possibilissimo, come mostrano i tanti esempi già in atto nel mondo, Mediterraneo compreso: vedi nostra gallery in fondo all’articolo. Dopotutto, la questione è sempre nel rapporto costo/beneficio.
Di fatto, ora come ora, non ci si può stupire più di tanto se a certi armatori conviene di più la demolizione, specie se può essere fatta fare all’estero, e anche se del tutto illegalmente… vedasi lo scandalo denunciato da trasmissioni come “Report” e “Le Iene” circa la “costa dei rottami” in Bangladesh… che potete verificare di persona: cercando bene con Google Earth, i relitti perpendicolari a quella costa appaiono visibili dallo spazio come denti di un pettine!

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