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La mia prima volta nella grotta italiana più celebre tra gli speleosub. Una magia autentica, come la Dama del lago di Excalibur.

A cura di Isabelle Mainetti. Foto Giuseppe “Pino” Piccolo

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L’elefante bianco: davano pioggia, fulmini, vento e tempesta e invece s’è rivelata una giornata niente male, baciata pure dal sole. Erano settimane che aspettavo di tornarci e stavolta per raggiungere la mia meta e mio obiettivo personale non mi sono fatta influenzare dal meteo e sono stata premiata. Ognuno di noi si prefigge il proprio limite, ogni passo avanti, pur piccolo che sia, è una conquista e questa è la mia di oggi. Direzione grotta “Elefante Bianco”. Situata in loc. Ponte Subiolo (comune di Valstagna) è tra le grotte più frequentate dagli speleosub e sub per la sua immensità, bellezza e facilità d’accesso. Chiamata così da molti – si dice – per la sua conformazione che ricorda una lunga proboscide. Ma perché bianco? Forse per il bianco marmoreo dei massi? Mah… Altre informazioni invece riferiscono che in realtà si chiami semplicemente grotta del Subiolo e che il nostro Elefante bianco sia poco più distante e tranquillamente all’asciutto. Tanto bella quanto comunque pericolosa e da non sottovalutare, lo ricordano alcune lapidi di poveretti all’entrata del laghetto. Partiamo in due, il mio buddy Pino ed io. Il furgoncino straripa di bombole ed è carico come se fossimo in mille. Ad aspettarci c’è un grande speleosub Veneto, Alberto Cavedon, che conosce alla perfezione questa immersione e che si è gentilmente offerto di accompagnarci. Persona tranquilla e determinata, con tipico accento del posto, si dimostra un ottimo padrone di casa. Ci accoglie e non ci fa fretta e ogni tanto ci regala qualche interessante consiglio. Il tragitto verso l’entrata della grotta è non poco faticoso: una marea di interminabili scalini, un orto da superare e un sentiero abbastanza in piedi tra rami e terriccio. Scarpe da trekking e nessun viaggio a vuoto è la prima “dritta”. La vista del laghetto però fa già dimenticare la fatica, almeno al momento. Oggi il livello dell’acqua è altissimo, i ghiacci si sono sciolti essendo già oltre metà primavera. In periodi diversi dell’anno, per esempio da ottobre a gennaio, il livello è molto più basso e ci si può accomodare tutt’intorno sulla splendida spiaggetta di sassi, che pare abbracciare le acque.
Già, l’acqua: il suo colore è tra il turchese e lo smeraldo, impossibile non scattarci mille foto, così come è quasi incredibile pensare che nascosta sotto i piedi della montagna ci sia lei, la grotta. Come la “Dama del lago” di Excalibur si nasconde lì, magica, fantastica e travolgente. Dopo i 5/6 viaggi avanti e indietro per trasportare l’ attrezzatura, siamo pronti per imbragarci. I miei due compagni riscaldano il loro reb mentre io faccio gli ultimi controlli alle mie 4 stage, al mio 12 + 12 con un 12/70, alle torce, alla cesoietta e a tutto il resto. Seduta sul masso da me prescelto come postazione, mi guardo intorno per realizzare il paradiso in cui mi trovo, ascolto il rumore del torrente e osservo la pace che mi circonda. Sembro parte di un sogno. Finalmente siamo pronti, mi sento bene, felice e i miei compagni sono perfetti. Essendo l’unica in aperto, basiamo su di me l’immersione e ci rammentiamo l’un l’altro le regole base: nessun errore, nessun eroe! Troviamo quasi nell’immediato la sagola principale che, a differenza dell’ultima volta che ero stata qui, guardando la montagna si trova tutta a sx. Agli 8 metri circa clippiamo l’ossigeno e ai 22/23 all’imboccatura della grotta l’ean 50, dopodiché iniziamo il nostro viaggio lasciandoci alle spalle il turchese intenso e il chiarore del sole riflesso e ci addentriamo in un mondo stregato. Buio, nero ma magico. Numerosi massi enormi in questo spazioso ambiente, dove a fatica riesci a illuminare le pareti per l’immensità della camera, fanno intuire qualche pregressa frana o il passaggio di piene aggressive. L’azzurro dietro di noi si fa sempre più piccolo, sempre più lontano. Stiamo penetrando il ventre della terra e il mondo è come chiuso fuori. Una realtà diversa dalle altre, quasi alla scoperta degli inferi, nel mondo degli Dei.

I giochi d’ombra creati dalle nostre torce ne esaltano il contesto e le fantasie. Non perdo d’occhio la sagola per nessun motivo, anche se sono in compagnia di due bravi sub, questo non mi basta per distrarmi dalla mia unica garanzia di ritorno. Con calma, estasiata dalle mille sensazioni che mi si muovono dentro, osservo le più svariate morfologie, la poesia di tutte quelle forme date dal lavoro delle correnti che vi abitano di tanto in tanto e in pochi minuti siamo a – 50 m. Come un salto nel vuoto ci caliamo di circa 10-15 m, potremmo di più ma decidiamo di rimanere più alti seguendo comunque il “filo di Arianna”. Lo spettacolo si trasforma. La prima volta che ci arrivai rimasi a bocca aperta, stupefatta. Qui tutto si ridimensiona, la sensazione di essere in grotta è più viva, si vedono le pareti che ti circondano e t’indirizzano incitandoti a non fermarti. Sono nella proboscide dell’elefante, la sto percorrendo! Ed ecco ciò che per me è l’eccellenza! A circa – 80 m un volto roccioso spettacolare reso ancor più fiabesco dalle nostre luci, dove il nero assoluto intorno trasmette energia e pace al tempo stesso e poi… oltre il volto… un fantastico canalone che fa sembrare di essere dentro un tunnel infinito. Questa è la parte che più mi piace, quella più intensa, dove l’eccitazione interiore si fa sentire. Proseguiamo ancora fino al raggiungimento della metà prefissata e ci fermiamo. Guardo Alberto, controllo il profondimetro, il manometro e poi… girandomi verso Pino, scoppio in una sanissima risata di soddisfazione e in modo un po’ poco femminile gli segno “si si si!”. Se potessi in questo momento ballare la tarantella, lo farei. Nel mio piccolo, ho raggiunto un traguardo e mi sento come se avessi scalato l’Everest. Ora possiamo rientrare e, con calma e tranquillità, ma senza mai dimenticarmi della sagola, posso curiosare tutti i buchi e buchini che conformano la maestosa grotta. Sono dentro, sono tanto dentro… e ora realizzo. Alberto in risalita ripulisce la parete dalle sagole vaganti, che per vari motivi si rompono per le piene o vengono abbandonate da sub incauti, mettendo in pericolo o confondendo altri subacquei. Pino non smette di fare fotografie, come volesse estrapolare da esse ogni sua emozione. Io nel frattempo faccio il mio primo cambio a – 57 m. Poco più su a destra, la prima uscita, ingannevole direi. Guardando Alberto avanzare penso che, senza sagola, l’istinto mi avrebbe portata a salire ulteriormente e rimanere intrappolata nella camera superiore, perché la sensazione che provi all’andata è quella di essere al tetto e di scendere.

Invece… non è per nulla così. Diverse forme di pietroni si presentano a noi maestose, riflettendo ci si rende conto di come la corrente trasformi una grotta in una serie di opere d’arte; e nei tratti dove l’acqua è limpida e trasparente, pare di volare vagando in un mondo extraterreno. Sublimi le scenografie che si presentano, i giochi di ombre, la tridimensionalità dei contrasti di luce, il buio pesto che incute un mix di terrore e adrenalina, la consapevolezza di essere nelle viscere di Madre Terra, tra l’inferno e il paradiso e di dover forse fare un patto col diavolo perché ti lasci scoprire i suoi tesori. Osservo l’alternarsi di rocce multiformi, frastagliature tipo sfoglia: alcune ricordano tipi di coralli, estesi massi lisci e bombati con fori creati da corrosioni di piccoli sassolini che giocherellando lavorano elegantemente a vortice formando buchi simili a nidi di pipistrelli, altri bianchi – ma talmente bianchi da bruciare le foto – altri ancora giallognoli. Nulla è scontato, nulla si ripete. Arrivati in decompressione abbiamo tutto il tempo di curiosare. Ormai siamo quasi alla fine del viaggio, io tremo dal freddo, l’acqua non è neppure male, anche se 8/9 gradi sono comunque pochi, ma soprattutto i lunghi tempi incidono, almeno per me. La scenografia in questo frangente s’è fatta surreale, sollevando lo sguardo all’uscita pare avere un soffitto azzurro, intravedi la vita esterna, l’acqua è immobile, cristallina, nonostante il nostro gironzolare, non si alza nemmeno un minimo di sospensione, solo qualche pesciolino che ci fa compagnia. Mi sento un po’ come il genio nella lampada quando aspetta che qualcuno la sfreghi per poter uscire. I contrasti di luci, colori e oscurità sono più intensi, quasi facciano brillare i massi. Mi diverto con le alghette a – 6 m per far passare più veloci i minuti, ma dopo un po’ preferisco stare ferma e concentrarmi sul fingere di aver caldo. Funziona? Mah! 150 minuti e “la bottiglia si apre!” I miei compagni hanno finito la deco molto prima di me essendo col reb, ma sono rimasti a soffrire come si conviene in una vera squadra. Si esce! Stanca e infreddolita mi libero dell’attrezzatura più veloce di Superman, o nel mio caso forse è meglio dire “più veloce di wonderwoman”. Ridiamo, ci “approviamo” e ci rilassiamo un lungo attimo prima di riportare tutto alla macchina. Altri 6 giri avanti e indietro ci aspettano mentre cerchiamo di non diventare acqua gassata riportando tutto verso le auto. Stravolta ma soddisfatta, con capelli arruffati e pelle grigiastra, comincio a sentir fame… sono le 3 pomeridiane! Concludo affermando che per quanto mi riguarda tutto è stato perfetto! Grazie anche ai miei compagni di oggi.

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