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Un punto di vista globale sul grave incidente di black-out occorso a un atleta spagnolo durante gli ultimi mondiali di apnea outdoor in Turchia

Intervista di Romano Barluzzi a Leonardo D’Imporzano

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”14387″ content_image_size=”full” content_title=”Day 1- CWT – Session 1 – 3rd Free Diving World Champ Pubblicato da CMAS World Underwater Federation Visualizzazioni 11.839″ lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″ el_file=””]

Avevamo trovato, in chiosa al grave episodio sincopale (un cosiddetto “black-out”) in cui è incappato l’atleta spagnolo Ramón Carreño Paz in risalita a ben 35 m di profondità il 2 ottobre scorso durante i mondiali di apnea outdoor di Kas in Turchia, un commento più che pungente pubblicato da Leonardo D’Imporzano sul proprio blog e la cosa ci ha spinto a consultarlo di persona.
Se infatti si può applicare al caso il noto detto “tutto è bene quel che finisce bene” – lo spagnolo è stato recuperato in tempo e dopo un po’ d’ospedale gode nuovamente buona salute – è altrettanto vero che le modalità in cui s’è verificato l’incidente appaiono francamente inquietanti, non tanto per l’impressionante video diffuso proprio dalla CMAS (potete riguardarlo anche qui: https://www.youtube.com/watch?v=wIS0QMNWfTw ), quanto per la possibilità stessa che si sia verificato in quel modo.
Insomma, qualcosa che “non sarebbe dovuta succedere affatto”, invece è successa eccome!
Esiste in tutto ciò un qualche significato di cui parlare costruttivamente, prima che i soliti “benpensanti del settore” tirino in ballo la cara e consueta apparente “fatalità”? Se si, vediamolo: potrebbe servire a scopo preventivo e/o migliorativo, affinché un evento del genere non abbia a ripetersi mai più o, anche nella malaugurata ipotesi, possa essere affrontato e gestito con efficacia ancor maggiore.

Leonardo, all’indomani del brutto episodio hai avuto parole di fuoco per tutti sul tuo blog: non le hai mandate a dire, né agli atleti, né agli operatori addetti, né agli organizzatori, né alla CMAS. Come mai? Che idea ti sei fatto, in estrema sintesi?

«Che la sicurezza, in quasi tutti i suoi presupposti, lasciasse ancora troppo a desiderare. Che questo sia un problema e un limite che affligge ancora troppo diffusamente la moderna apnea verticale. E che anche ciò che comunque ha funzionato – e meno male! – vada comunque migliorato.»

Siamo ora più analitici: cominciamo dagli atleti…
«Vedi, il fatto stesso che sia accaduto un incidente del genere, a quella profondità… qualcosa che non sarebbe dovuto accadere affatto, o non in quel modo, rilascia quell’amaro in bocca del sospetto che molto probabilmente ci fosse all’origine un deficit di preparazione psicofisica o anche problemi fisici sottovalutati.»

Parli del singolo caso specifico dello spagnolo? Una giornata “no” può capitare, non siamo macchine…
«Appunto per questo l’episodio a mio parere rende evidente che il fatto che alcuni atleti affrontino profondità limite con eccessiva leggerezza è con ogni probabilità più diffuso di quel che si creda. Magari compensano al volo perché son dotati, sia fisicamente in via naturale (più probabile!) sia come tecnica compensatoria appresa. Del resto non si fa che un gran parlare di “hands free”, “mouth fill” ecc. Ma l’impressione è che proprio azzerando questo ostacolo naturale alla profondità si creda di potersi curare di meno – che so – della tecnica di pinneggiamento, o della gestione globale del tuffo, o degli aspetti psichici necessari per conoscersi meglio, per percepire il proprio stato interiore e le sue variazioni…»

E del ruolo dell’allenatore?
«L’allenatore è uno che dovrebbe saper far gestire la prestazione del suo atleta in modo che non possa capitargli una cosa di questo genere! Per esempio, facendogli padroneggiare la stima della quota dichiarata in modo che non superi mai quella della propria migliore prestazione personale. E anche su questo concetto di “migliore prestazione personale” ce n’è da dire: dovrebbe infatti essere quella che l’atleta viene messo in grado di gestire sempre nell’ambito delle proprie capacità consolidate, non con un mix di abilità e di fattori fortuiti, magari legati alle variabili del momento…»

Veniamo agli organizzatori…
«Beh guarda, molte cose ce le dice già la ripresa video (originariamente integrale, dopodiché sono circolate versioni tagliate…), così saltano all’occhio di colpo: per dirne una soltanto, un “safety” è dovuto risalire precipitosamente per esaurimento della sua autonomia in apnea. È stata evidente una errata valutazione dei tempi nel suo tuffo rispetto allo spagnolo in risalita … e bisogna vedere poi come mai!
Se l’atleta dichiara un tempo “tot” per il tuffo e dalla superficie si accorgono che è molto più lento, la macchina della sicurezza deve attivarsi prontamente, poiché vuol dire che qualcosa sta andando storto.
Per dirne altre di carattere organizzativo: i soccorritori “sanitari” presenti avranno anche gestito efficacemente – i risultati parlano – l’incidente nel loro trattamento sull’infortunato, ma non erano neanche riconoscibili né individuabili visivamente. Inoltre, non mi risulta che ci fosse alcun medico specialista in rianimazione. Spero almeno su questo di essere smentito.»

Ritieni che l’episodio abbia potuto danneggiare l’immagine dell’Apnea a livello mondiale, nel momento in cui si auspica possa diventare disciplina olimpica?
«In effetti negli ultimi mesi si è parlato molto di portare l’apnea alle Olimpiadi estive e il palcoscenico dei giochi mondiali CMAS svolto in Turchia nei giorni scorsi aveva dato l’impressione di voler essere la vetrina internazionale in cui tutto il relativo “circo” connesso (atleti, allenatori, giudici, dirigenti, organizzatori ecc) potesse mostrarsi prestigioso… invece ha rivelato piuttosto che la strada da fare è ancora molta!»

Beh, ma la partecipazione alle Olimpiadi non riguarderebbe soltanto le specialità dell’apnea orizzontale in vasca?
«Si ma dal punto di vista dell’immagine il problema sussiste ugualmente: chi si metterebbe a fare questa distinzione tra il grande pubblico? Il messaggio restituito dall’Apnea a causa di questo episodio è che si tratta ancora di uno sport “pericoloso” e in cui i rischi sono difficilmente evitabili o mal gestibili…anche se così non è!»

D’altronde non c’è la possibilità di azzerare completamente il rischio, in nessuna umana attività…
«Infatti il punto non è questo. L’obiettivo non è – o non dovrebbe essere – quello di annullare del tutto un rischio in realtà ineliminabile per definizione, bensì rendere la gestione del soccorso, oltre che migliore, destinata a gestire l’eccezione, l’emergenza autentica, il caso disgraziato, l’imponderabile vero. Mentre qua pare quasi che le si voglia deputare il compito di sopperire all’incapacità di evitarla da parte di alcuni, forse troppi. Per la serie “io mi butto, tanto se va male poi c’è chi mi recupera e mi salva!” Ecco, la mia impressione è che si debba affrancarsi del tutto da questa tentazione, che credo sia ancora troppo una diffusa mentalità emergente sotto la spinta agonistica della gara.»

Un nostro grande personaggio dell’assistenza professionale agli apneisti, Michele Geraci, presente all’accaduto, ha commentato su un proprio post che (almeno) il soccorso è stato ineccepibile e che la CMAS saprà fare piena luce sui motivi dell’accaduto. La stessa presidente della CMAS Ana Arzhanova ha assicurato: “Le nostre procedure sono sempre in evoluzione con la sicurezza in mente. Considereremo questo incidente un’opportunità per continuare a imparare e migliorare le nostre misure di sicurezza sia per i partecipanti a questo evento sia per il futuro a lungo termine dello sport in generale”. Sembra insomma esserci una volontà comune di miglioramento tempestivo… che ne dici?
«Penso che Michele sia stato fin troppo diplomatico. Gli errori sono stati tanti, a monte, e solo un pizzico di fortuna ha permesso che non si trasformasse in tragedia quanto avvenuto.
Michele è un grande professionista e penso che, visto che fa parte della CMAS, la sua esperienza venga tenuta da conto in quell’ambiente, così che possa dare loro dei buoni consigli. E ci sono anche altri italiani, come Gaspare Battaglia che ha fatto un recupero importante come Safety ad Ischia l’anno scorso. Che facciano una commissione seria di valutazione, magari anche con personalità al di fuori della CMAS, perché AIDA non è da meno. Gli incidenti sono presenti anche nel circuito “pro” e gli atleti competono tanto nell’uno che nell’altro. Anche i nostri, dove l’Alessia nazionale ha finalmente azzerato le differenze di prestazioni record nei due circuiti.»

Per inciso… i nostri atleti non potevano, sino a qualche anno fa, partecipare alle gare AIDA, giusto?
«Esatto. Mentre oggi si. È stata una lunga mediazione, durante il periodo nel quale ho guidato AIDA Italia, ho lavorato con Azzali (allora presidente del settore attività subacquee della FIPSAS – ndr) per trovare una soluzione accettabile che finalmente poi è arrivata.»

Nonostante la sospensione forzata per l’incidente allo spagnolo, i mondiali sono poi proseguiti, coronati da un fantastico successo della nostra squadra…
«Si, un grande risultato complessivo, che ci proietta ai vertici, secondi solo ai russi…onore al merito per tutti i componenti della rappresentanza del nostro Paese. Le medaglie vinte dagli azzurri in occasione del 3° Campionato Mondiale CMAS di Apnea Outdoor hanno raggiunto quota sei: tre d’oro, una d’argento e due di bronzo. Per di più senza inconvenienti! Costituiscono quindi un’affermazione che parla da sola e sa di maturità e universalità.»

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