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Un ritrovamento archeologico subacqueo eccezionale. Le tracce e i resti di un antico combattimento navale. Il comune di una cittadina unica e le idee chiare della sua amministrazione sul programma per valorizzare i reperti. In una parola: Avola

di Romano Barluzzi – foto Comune di Avola e Sezione Operativa Navale Guardia di Finanza di Siracusa

[TS-VCSC-Lightbox-Image external_link_usage=”false” content_image=”7695″ content_image_size=”full” lightbox_size=”full” content_title=”I cannoni dell’esagono” attribute_alt=”false” content_image_responsive=”true” content_image_height=”height: 100%;” content_image_width_r=”100″ content_image_width_f=”300″ lightbox_group=”true” lightbox_effect=”fade” lightbox_backlight=”auto” lightbox_backlight_color=”#ffffff” margin_top=”0″ margin_bottom=”20″]

Siate sinceri: che ne pensereste a sentir dire che sono stati ritrovati antichi cannoni navali intatti, a una profondità di appena 6 metri, nel mare davanti a un popoloso centro comunale, esiti perduti di un combattimento navale tra inglesi e spagnoli risalente a tre secoli fa? Forse, chi già non lo sapesse, andrebbe col primo pensiero all’eventualità di una bufala. Invece è tutto vero!
Una visita ad Avola, 3° comune per numero di abitanti del siracusano dopo Siracusa e Augusta, nonché bella cittadina famosa per l’omonimo vino rosso – anzi, “nero” –, ci mette a conoscenza di questa realtà così particolare e non altrettanto nota.
Appena tre anni fa accadde che un pescatore in apnea, durante una sua peregrinazione venatoria, avesse notato qualcosa di strano spuntare dal fondale su cui stava transitando.
Per fortuna quel pescatore era un effettivo della locale Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Siracusa: già, perché quel “qualcosa di strano” era un reperto seminascosto dalla sabbia del fondale, sotto la quale giaceva un intero antico relitto sconosciuto.
Dai primi scavi che ne seguirono tornarono alla luce una serie di reperti, dei quali i più impressionanti per mole si rivelarono due cannoni maggiori (2,65 metri di lunghezza per 1.142 chilogrammi – alias 2.517,679 libbre – di peso!), nonché una quantità di altre armi e pezzi minori, come munizioni, carrelli, ruote e perfino suppellettili e … posate! Particolarmente rari e degni di nota sono stati ritenuti gli affusti lignei dei cannoni comprensivi di ruote, mantenutisi – forse proprio grazie all’insabbiamento – a un livello di conservazione a dir poco straordinario.
Subito partirono studi condotti sul sito per ricostruire le circostanze, o almeno il contesto generale, in cui evidentemente una grossa nave era naufragata proprio lì con il suo carico, bellico e non, forse incendiata e probabilmente sospinta fin quasi a spiaggiarsi nel tentativo di non farla affondare completamente onde poterne salvare almeno in parte il carico. E contemporaneamente si pensò di provvedere al restauro dei materiali recuperati, in vista di una loro successiva collocazione in mostra espositiva o museo.

La battaglia navale
Le indagini storiche permisero di delineare il seguente scenario: correva l’anno 1718 quando Avola era sotto controllo spagnolo e Siracusa in mano ai piemontesi Savoia favorevoli al re e difesi dagli Inglesi… Per inquadrare meglio il periodo bisogna però rifarsi al trattato di Utrecht del 1713 in base al quale gli spagnoli avevano dovuto lasciare la Sicilia che fu assegnata agli allora Duchi di Savoia, precisamente re Vittorio Amedeo II di Savoia. Ma i rigori amministrativi imposti dalla nuova gestione non furono ben accetti alle baronie nobiliari né al clero siciliani che tentarono di favorire il ripristino della monarchia di Spagna sul territorio di Avola, attuando un piano di fortificazione dei suoi dintorni, fin nell’entroterra. E mentre la flotta spagnola sbarca nel 1718 a Palermo, le forze piemontesi si vanno strategicamente concentrando a Siracusa dove richiamano in proprio sostegno la flotta inglese. La tensione crebbe e già dall’11 luglio 1718 si registrarono attacchi da parte dei Savoia via terra. Ma lo scontro era diventato inevitabile anche sul mare e un mese esatto dopo, l’11 agosto 1718, la flotta navale inglese intercettò quella spagnola già su Augusta mentre si accingeva ad assediare Siracusa e fu ingaggiata battaglia, che si protrasse lungo la direttrice Augusta-Capo Passero fino a tutto il giorno 12.
Una testimonianza oculare dell’epoca – il padre cappuccino Francesco Di Maria descrisse ciò che vide nella sua opera “Ibla rediviva” pubblicata nel 1745 – già parlò di “memorabile combattimento navale degl’Inglesi e Spagnoli, sotto il 12 agosto 1718, con uccisione di molte genti e incendio a vascelli e grosse navi”.
Quella che per molto tempo sembrò giusto aver battezzato “la battaglia di Capo Passero”, era stata combattuta in realtà più a nord, culminando con lo scontro più cruento proprio davanti ad Avola, come lo stesso relitto in questione oggi dimostra. E con esito finale favorevole agli inglesi.

Dubbi e scoperte
Il dubbio originario sul vascello di cui si è rinvenuto tre anni fa il “relitto dei cannoni” concerneva la sua nazionalità, nonché la sua destinazione d’uso. Anche perché è noto quanto all’epoca fosse usuale reimpiegare in battaglia naviglio di altra nazionalità oggetto di bottino in precedenti scontri, o di traffico d’armamenti, oppure imbarcazioni originariamente mercantili poi armate alla bisogna per fungere da navi appoggio a quelle militari.
Salvo poi essersi accorti – anche in base ad alcune iscrizioni rinvenute sui cannoni che indicavano la fonderia d’origine in quella di tale Thomas Western vissuto dal 1623 al 1707, ndr – che doveva essere appartenuto agli inglesi. A riprova di questo fatto arrivò anche il ritrovamento, tra i vari materiali di più piccola fattura riemersi sul posto, di una posata da tavola con incisa la scritta “LONDO(N)”. Oggi – come ci anticipa il dr. Nicolò Bruno della Soprintendenza del Mare per la Regione Sicilia – «il sito dove insistono i resti del relitto dei cannoni davanti ad Avola è destinato a un recupero accurato e completo in quanto è esclusa l’eventualità alternativa della preservazione in situ per trasformarlo in un percorso guidato da visitare sul posto: la localizzazione stessa del relitto lo impedisce. La troppo scarsa profondità lo espone a continue e cospicue variazioni della batimetrica in base alle stagioni, ai flussi di marea e alle stesse mareggiate. Così come lo lascia indifeso dall’incuria e dai tentativi di saccheggiamento. Si tratta di un relitto che andrebbe studiato, scavato e recuperato tutto e in una sola volta, possibilmente in un’unica campagna.»
Il problema emergente è però che mancano completamente i fondi per soddisfare un’esigenza di questo genere. Anzi, forse ne mancheranno anche per condurre i reperti recuperati finora alle fasi finali del restauro completo.
Intanto i cannoni e gli altri materiali fin qui riportati alla luce vengono custoditi con cura in locali del comune, presidiati h 24 da personale municipale e immersi in appositi vasconi in cui viene ricambiata periodicamente acqua dolce non clorata per desalinizzare più possibile tutti gli strati dei materiali di cui sono fatti. Si tratta di una fase molto lunga ma indispensabile e preliminare a qualsiasi successiva procedura di restauro.
Perciò da parte dell’amministrazione comunale di Avola trapelano preoccupazioni sui tempi necessari per la fase di restauro vero e proprio cui i cannoni e gli altri materiali fin qui estratti dal mare andranno sottoposti dopo la desalinizzazione. E la faccenda appare comprensibile, se si pensa che gli amministratori hanno già provveduto a individuare la soluzione espositiva per musealizzare i reperti restaurati e per inserirne la visita nel circuito turistico-escursionistico. Perciò speriamo si tratti di preoccupazioni infondate.

La parola alla Soprintendenza del Mare
Lo stesso dr. Nicolò Bruno, esponente della Soprintendenza del Mare, ci conferma la necessità di un reperimento fondi mirato a finanziare non solo il completamento del restauro dei materiali recuperati finora ma anche un vero e proprio scavo unico finalizzato a estrarre dal mare l’intero carico e tutte le parti del relitto rimaste sotto il fondo. I reperti infatti, soprattutto quelli lignei, una volta scoperti dalla sabbia che in un certo senso li ha “preservati” finora, non possono essere lasciati in situ, né lo si può fare con alcuna parte del relitto o del suo carico in quanto la profondità così esigua lo espone troppo a insulti ambientali, naturali e provocati. «A bordo – specifica il dr. Bruno – devono esserci ancora utensili, bottiglie, vettovagliamento e svariate altre tipologie di oggetti di dimensioni contenute, asportabili o danneggiabili. E’ stato individuato perfino un archibugio…». E noi approfittiamo per qualche altra domanda.

Dr. Bruno, la nave era inglese o spagnola?
«Inglese, senza più alcun dubbio. Però non era propriamente “militare”, o meglio non si trattava di un vascello originariamente da guerra perché altrimenti si sarebbero ritrovati i bolli reali, mentre le scritte individuate stampigliate sulle armi consistono solo in una “T” e in una “W”, iniziali del fonditore Thomas Western, titolare di una fonderia molto nota tra la fine del ‘600 e i primi del ‘700. Ma, siccome solo nei pezzi imbarcati sul naviglio da guerra c’era anche il bollo regio della corona inglese, con ogni probabilità si trattava di una imbarcazione d’appoggio a quelle militari, originariamente mercantile e poi armata – anche pesantemente – per le necessità legate alla circostanza.»

Il restauro come procederà?
«Il passo successivo alla desalinizzazione è la stabilizzazione tramite elettrolisi. E’ un processo costoso e anche per questo è opportuno procedere a un reperimento fondi privati. Trovandoli, potrà essere fatto interamente sul posto, con destinazione d’uso delle risorse necessarie a una o più associazioni culturali che se ne occupino collegialmente, agendo da collettori e assicurando tracciabilità e trasparenza sotto costante coordinamento dell’Assessorato Beni Culturali e Soprintendenza del Mare. Ma c’è da portare a compimento anche la vera campagna di scavo globale su quanto resta del relitto…»

I cannoni resteranno ad Avola?
«Certamente, questo comunque.»

Ci vorranno dunque finanziamenti anche per finire il restauro degli attuali reperti? Oppure quello è già coperto e le risorse servirebbero per proseguire lo scavo e i recuperi successivi?…
«Confermo che questa scoperta – la cui importanza, lo sottolineo, appare superiore a quanto si potesse inizialmente supporre – ha necessità di un’operazione completa per essere valorizzata adeguatamente e ciò richiede un approccio globale anche nella ricerca di un’adeguata copertura economica per la quale l’intervento di contributi privati si configura auspicabile e risolutivo.»

Il sindaco di Avola, Giovanni Cannata, raggiunto da una nostra telefonata, confermandoci che “il relitto di Avola” è un grande ritrovamento in grado di conferire elementi cardine perfino per una rilettura nuova della storia, ha espresso l’intento e l’auspicio del comune di valorizzarlo al massimo anche dal punto di vista della musealizzazione tramite idonei locali espositivi dedicati allo scopo, come si conviene a un ritrovamento di tale portata storica e culturale.

La “città esagonale” in un libro
Buona parte delle informazioni storiche, architettoniche e paesaggistiche riportate in questo articolo compaiono raccolte in un bel libro riccamente illustrato in foto e grafici dal titolo: “La città esagonale – Avola: l’antico sito, lo spazio urbano ricostruito”, della studiosa Francesca Gringeri Pantano, 1997, Sellerio Editore.

I dintorni di Avola
Avola non è solo mare, né semplicemente una bella cittadina, gli interni del suo territorio svelano sorprese forse ancora più misteriose. Dall’alto della località Cava Grande, affacciandosi sul bordo di una delle sponde di un autentico “gran canyon”, si possono scorgere sul fondo della gola due bacini lacustri, il cui principale ha fama leggendaria di essere insondabile, come dire “senza fondo” (in realtà ovviamente non lo è ma ha una profondità tale da apparire comunque eccezionale). Ci sono escursioni possibili da compiere per raggiungere la superficie di questi cosiddetti “laghi di Avola Antica” ma vengono descritte come molto impegnative. L’unica alternativa altrimenti è… l’elicottero! Ma siamo certi che più di qualcuno vorrà provare l’avventura a piedi.
Sulla parete dell’altra sponda del canyon, sempre osservando dal ciglio di Cava Grande quel dislivello di quasi 500 metri, si vedono invece cavità multiple di svariate dimensioni, da piccoli ipogei a grandi antri, che gli esperti locali ci spiegano essere veri e propri antichissimi complessi tombali. Lo stesso dr. Nicolò Bruno ci specifica trattarsi di «una necropoli della facies di Cassibile (dal 1.000 all’850 A.C.) – di cui non sono ancora mai stati fatti scavi per trovare il villaggio preistorico che doveva essere attiguo alla necropoli e che dunque è presumibile sia ancora lì da qualche parte – abitata dalla popolazione dei Siculi, facies Sicula: tombe a forno o grotticella artificiale, scavate nella parete verticale, dell’età del Bronzo finale.»
Sepolcri preistorici a strapiombo sull’abisso. Lontano ma sempre in vista il mare. Si prova un senso d’incredulità e trascendenza a trovarsi qui ascoltando questo vento. Altro che Stonehenge!
(Si ringraziano per la collaborazione ai contenuti, oltre ai citati nell’articolo: l’assessore comunale Avv. Massimo Grande, l’assessore comunale Arch. Simona Loreto, il biologo dr. Daniele Tibullo)

2 Comments

  • Sebastiano
    Posted 18 Novembre 2015 15:45 0Likes

    1142 kg equivalgono a 2517 libbre, non a 110 libbre.

    • Romano Barluzzi
      Posted 19 Novembre 2015 16:30 0Likes

      Giusto, “Sebastiano”! Si tratta precisamente di 2.517,679 lb (libbre). Grazie di averci segnalato la svista di trascrizione. Continui a seguirci con occhio così attento, ci fa piacere!

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