Il 12 dicembre scorso è nato a La Spezia il “PNS Polo Nazionale della dimensione Subacquea”. Un’occasione forse unica e irripetibile per far correre il progresso di tutte le tecnologie legate all’immersione, in ogni loro applicazione.

A cura di Romano Barluzzi. Foto di Leonardo D’Imporzano.

L’episodio – ancora largamente irrisolto circa l’individuazione di esecutori e mandanti – del sabotaggio al gasdotto Nord Stream 1 e 2, inutile negarlo, ha toccato un nervo scoperto, mettendo a nudo una vulnerabilità delle infrastrutture sommerse e degli ambienti che attraversano riguardante in pratica tutto il mondo.

Vulnerabilità dovuta soprattutto alla carenza – per non dire all’assenza totale – di sorveglianza efficace su strutture per un verso vitali per interi continenti (si pensi già soltanto al sistema di cavi per comunicazioni e internet!) e peraltro deposte appositamente su tracciati a profondità tutto sommato raggiungibili, se non altro a scopo ispettivo, di manutenzione o riparazione. E risulta perfino ovvio che ciò che è raggiungibile per scopi civili, lo diventi ancor più per operazioni militari! Insomma quel che si trova proprio lì per poter essere riparato quando necessario, sempre lì può essere ancor più agevolmente manomesso o distrutto.

In pratica il periodo così critico che viviamo circa le guerre nel mondo ha acceso i riflettori sui “domini subacquei” e sull’assoluta necessità di salvaguardarne e metterne in sicurezza l’integrità, per di più in maniera capillare, affidabile e continuativa.

Perciò da più parti si assiste da allora a una sempre più manifesta “rincorsa alle profondità marine” da difendere e sulle quali vigilare con accuratezza.

Per dirla in un altro modo, siamo stati proiettati dalla delicatissima fase geopolitica internazionale in un quadro di corsa generalizzata al riarmo, all’interno del quale la dimensione subacquea mostra tutte le sue caratteristiche di strategicità e in quanto tale richiede d’impiegare le migliori tecnologie d’immersione, con tutta l’innovazione possibile.

Questa lettura – e ciò a prescindere da qualsiasi corrente di opinioni riguardo all’opportunità o meno di considerarci di fatto in uno status di belligeranza – fa emergere se non altro la centralità di studi, ricerche e produzioni tecnologiche i cui impieghi rispondano a criteri di “dualità”, cioè soddisfino sia esigenze prettamente militari, sia la realizzazione e il miglioramento di applicazioni civili.

Ecco che l’inaugurazione del PNS – Polo Nazionale della dimensione Subacquea appena avvenuta a La Spezia (il 12 dicembre u.s.) si colloca proprio nell’ottica di una generalizzata ripresa delle attenzioni verso la ricerca, la custodia e la valorizzazione degli ambienti sommersi da parte delle istituzioni militari preposte.

Come poco prima aveva annunciato a Roma il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Ammiraglio Enrico Credendino, durante il forum “SPACE&BLUE. Economia dello Spazio e del Mare: interconnessioni Made in Italy”, il nuovo PNS Polo Nazionale della dimensione Subacquea è stato quindi inaugurato e aperto, seppur con un ritardo – che immaginiamo fisiologico, date le intuibili complessità del caso – di circa sei mesi sugli originari programmi.

Dopotutto, già il documento programmatico pluriennale per la Difesa circa il triennio 2023-2025 aveva ben anticipato le peculiarità del Polo, definendolo come un “…aggregatore e acceleratore di tutte le competenze nazionali, anche dell’industria, della ricerca e del mondo accademico”. Insomma un Polo come punta di diamante della ricerca d’eccellenza – anzitutto italiana ma anche internazionale – finalizzata al settore Sicurezza.

In realtà il Polo della Subacquea, per il fatto stesso di nascere sotto l’egida della Marina Militare, presenta già caratteristiche di internazionalità e si basa sull’apporto di protagonisti come Leonardo e Fincantieri, nonché sull’esperienza derivante da pilastri fondativi come il CSSN Centro di supporto e sperimentazione navale e il CMRE Center for maritime reserarch and experimentation della NATO (situato proprio accanto all’ex Mariperman). Senza dimenticare che sempre il CSSN è oggi parte integrante di DIANA, acronimo della rete Nato chiamata per esteso Defence innovation accelerator for the North Atlantic che ha su Torino e per l’appunto La Spezia i due rispettivi centri di riferimento italiani per i test di prova e le sperimentazioni.

«Finalmente anche l’Italia ha deciso di investire in un comparto strategico come il PNS che, al pari del settore cyber e del settore spazio, saranno determinanti nelle scelte future anche in un’ottica di sicurezza e salvaguardia globale», sostiene Leonardo D’Imporzano, giornalista subacqueo presente all’evento inaugurale del Polo, che aggiunge: «Diventerà importante ora vedere quali saranno gli investimenti del comparto Difesa nei prossimi mesi e anni, anche e soprattutto per non disperdere – anzi rilanciarlo – il grande know-how che il nostro Paese già rappresenta e di cui a livello mondiale detiene numerosi stakeholders».

Ma a livello pratico quali sono gli scenari che possiamo sentirci di immaginare nelle realizzazioni concrete che seguiranno in un futuro di (almeno) breve e medio periodo?

Ebbene, dovendosi trattare di difendere strutture critiche sottomarine – che siano linee di trasmissioni dati ad alta velocità, gasdotti o altro del genere, ma comunque sviluppate per ampie o lunghissime estensioni – è lecito prevedere che sarà la robotica a farla da padrona, con l’affermarsi sempre più diffuso di mezzi “unmanned”, cioè senza pilota umano a bordo e dotati di sistemi di guida autonomi e/o comandabili da remoto.

A questo proposito giova ricordare come esempio emblematico una notizia di cui non è trapelato quasi nulla di dettagliato in un primo momento, e cioè la messa a punto di “Janus”, un protocollo per l’internet sottomarino in grado di far comunicare automi subacquei tra loro e con il mezzo di superficie. Ebbene, Janus è assurto al ruolo di standard ufficiale NATO nel 2017 dopo essere stato sviluppato proprio dal CMRE di La Spezia!

E come dimenticare gli studi e le realizzazioni in atto già da anni da parte di più istituti – tra i primissimi il Sant’Anna di Pisa – nel campo dei “robosoft”, cioè robot subacquei a forma, di consistenza e motilità similari in tutto e per tutto a organismi marini?

Ma per vedere prima possibile i fondali marini popolati di automi multiruolo in maniera sistematica e con reale efficacia protettiva estesa sugli ambienti e sulle infrastrutture critiche – quindi con applicate potenzialità “duali”, ossia civili oltreché militari – servono appunto idee, ricerca e sviluppo, da sostenere con fondi adeguati.

 Non a caso, come si apprende da fonte ministeriale, il Polo ora neonato può e deve configurarsi quale «incubatore tecnologico in grado di catalizzare innovazione e startup e potersi in prospettiva integrare efficacemente, per lo specifico settore underwater, anche nel network Diana degli acceleratori tecnologici».

Di sicuro c’è che – in ogni caso – vi terremo aggiornati.

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