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Ritrovamenti archeologici della più remota preistoria appartenenti a un sito nostrale – nel Circeo – dimostrano che l’uomo di Neanderthal sapeva già andare sott’acqua. Ecco a voi un apneista di novantamila anni fa!

La Redazione. Crediti immagini in didascalie

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Forse non tutti hanno presente che l’uomo di Neanderthal, o Homo neanderthalensis, è stato una sorta di ominide preistorico del quale si è per del tempo creduto di essere i discendenti. Prima di scoprire che invece apparteneva a una specie di ominide completamente diversa dalla nostra, essendo noi discendenti dal cosiddetto Homo sapiens. Rispetto al quale i Neanderthal furono relegati dai meccanismi evolutivi in un binario morto: ebbero cioè la peggio, fino a estinguersi.

Eppure erano stati i primitivi abitatori delle terre europee, compreso ciò che c’era all’epoca della nostra penisola, mentre i Sapiens – cioè oggi noi stessi! – sarebbero sopravvenuti, essendo stati di originaria derivazione centro africana. Fatto sta che i Sapiens prevalsero, determinando l’attuale specie umana.

Ma i Neanderthal avevano fatto in tempo a prosperare e anche a lasciare traccia di sé, e in modi perfino bizzarri, oltreché sorprendentemente evoluti.

Le loro abilità manipolatorie avevano raggiunto un livello sufficiente alla fabbricazione di diversi tipi di utensili e oggetti, tra cui: asce a mano, dette anche “amigdale” per la loro forma a mandorla, ottenute scheggiando grossi pezzi di selce; lance, ricavate da punte di selce più piccole; denticolati, ossia selci che terminavano non a punta bensì con una dentellatura che ne suggerisce l’impiego come seghetti; raschiatoi e perfino un cosiddetto “flauto”, sebbene si trattasse non di uno strumento musicale bensì di un accendino (nei fori s’inserivano i legni da vorticare per produrre il fuoco…).

Ed è appunto ai raschiatoi e in generale agli strumenti da taglio, che loro presumibilmente usavano soprattutto per scarnificare la selvaggina, che si aggancia la sorpresa subacquea di oggi. In che senso? Ebbene, assodato che usassero quali raschietti o lame anche dei gusci lavorati di molluschi fasolari, ovvero le valve del Callista chione, – che lavoravano e affilavano con pietruzze usate a scalpello – si è osservato solo di recente come la maggior parte fossero stati raccolti a riva, dunque da molluschi già morti e spiaggiati, le cui conchiglie sono riconoscibili in quanto prendono colori più spenti e opacizzati, nonché un po’ abrasi dallo sfregamento con la sabbia.

Ma… c’è sempre un ma: circa il 25% – ossia almeno un quarto – dei gusci ritrovati sono rimasti invece di colorazioni più cariche e lucenti, senza segni di abrasioni, caratteristiche queste dei molluschi ancora vivi e appositamente uccisi sul posto, prima che giungessero a esaurimento naturale del loro ciclo vitale. Il che significa … pescati sul fondo!

Morale della favola, i nostri Neanderthal erano anche buoni pescatori subacquei, apneisti in grado di spingersi fino ad almeno 3 o 4 metri di profondità e di rimanerci a sufficienza per individuare la zona adatta e operarvi la necessaria e per loro preziosa raccolta!

Parliamo di qualcosa come 90.000 (novantamila) anni fa circa, epoca del “Paleolitico medio”, periodo “Musteriano”: un tempo la cui lontananza è per noi difficile perfino da immaginare.

E la scoperta è tutta made in Italy, almeno come località: riguarda infatti una zona della costa laziale del Circeo dove c’è una grotta detta “Grotta dei Moscerini”, già celebre per i ritrovamenti archeologici, la cui più approfondita osservazione ha stavolta regalato questa nuova interpretazione. Dei 171 reperti di gusci di fasolari, ognuno ben lavorato e  “affilato”, almeno un quarto hanno le caratteristiche che abbiamo descritto, tali da costituire una inequivocabile traccia delle prestazioni subacquee degli allora abitanti della zona, oltreché delle loro abilità di “fabbricare” utensili con quanto trovavano, anche in fondo al mare. Dello studio cui facciamo riferimento – s’intitola “Neandertals on the beach: use of marine resources at Grotta dei Moscerini (Latium, Italy)” – sono autori in realtà anche ricercatori internazionali: è stato pubblicato su Plos One da un team guidato da Paola Villa (Museum of Natural History dell’Università del Colorado – Boulder, dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana e dell’università sudafricana di Witwatersrand).

Del gruppo sono anche Sylvain Soriano (Université Paris Nanterre); Luca Pollarolo (università di Witwatersrand e di Ginevra); Carlo Smeriglio e Mario Gaeta (università di Roma); Massimo D’Orazio, Jacopo Conforti e Carlo Tozzi (università di Pisa).

Lo studio è in realtà avvenuto sul materiale già ritrovato 70 anni fa, nel 1949, nel suddetto sito e che aveva già portato alla luce l’ingente quantitativo di utensili lavorati a partire dalle conchiglie ma per la prima volta è venuto in mente di verificare se i Neanderthal si fossero serviti solo dei gusci rinvenuti spiaggiati o no. E ciò ha fatto emergere le differenze così degne di nota da far immaginare appunto uno scenario ben diverso: ovvero prove assai verosimili di abitudini marine e natatorie dei Neanderthal nella Grotta dei Moscerini molto più “atletiche”.

È altrettanto probabile che ci fossero delle ragioni precise per preferire i fasolari pescati ancora vivi, oltre alle ovvie opportunità alimentari e benché comportassero la fatica e i rischi di tuffarsi in apnea per prenderli: per esempio, i loro gusci erano mediamente più grossi e robusti e offrivano una lavorabilità migliore… il taglio ottenibile doveva cioè risultare di un’affilatura più facile e più durevole

Dopotutto l’abilità tecnica dei Neanderthal nella scheggiatura di pietre era già nota dalla lavorazione di molti tipi di punte e lame per asce e lance, come detto.

Tutti indizi che si darebbero reciproca conferma anche con un’altra osservazione precedente: un team guidato da Erik Trinkaus, antropologo, aveva identificato sulla regione temporale del cranio di alcuni scheletri di Neanderthal, in corrispondenza del canale uditivo, delle escrescenze ossee, note non a caso come “orecchio del nuotatore”, reperto spesso individuabile anche nei moderni nuotatori sportivi!
La Villa ha riferito che «Le scoperte sono ancora ulteriori prove del fatto che i Neanderthal fossero altrettanto flessibili e creativi dei loro parenti umani quando si trattava di guadagnarsi da vivere».

Insomma, poi si saranno anche estinti, i Neanderthal, e il loro ramo non ebbe originariamente nulla a che vedere con il nostro; ma s’erano stanziati in tutte le terre oggi europee, al sopraggiungere degli Homo sapiens furono possibili le relative ibridizzazioni e seppero fare molte più cose di quanto un tempo si pensasse. E ciò che sappiamo oggi sull’apnea ha aiutato a capirlo.

Archeologia costiera sempre di fascino immortale, che oggi si arricchisce anche dell’intreccio con modernissime tecniche di indagine genetica: sapevate che si può far risalire fino a circa un 4% del nostro attuale DNA a quell’antica matrice neanderthaliana?

(In foto d’apertura – da Wikipedia – una comparazione morfologica tra un cranio di Homo sapiens, a sinistra, e un cranio di Homo neanderthalensis )

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