Comincia con questa prima puntata una nostra attesa ricerca sui perché metodologici delle varie didattiche. Oggi rispondono IANTD, UTD e PADI.

A cura di Giorgio Anzil

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Iniziamo qui un viaggio non tanto sapendo che potrebbe stupire quanto nella convinzione che riesca a rivelarsi utile a molti. Un viaggio attraverso nuove scoperte, nuovi metodi per un solo perché: «perché voglio conoscere ciò che c’è oltre la spiaggia, nelle profondità dell’oceano» (Cit.).

Introduzione: «addestramento alla subacquea». Significato letteralmente preso da Wikipedia che lo spiega così: «L’addestramento alla subacquea è il processo di apprendimento dei metodi di utilizzo dell’attrezzatura per immersioni e delle tecnologie utilizzate in subacquea per consentire un’immersione sicura e piacevole».

Cosa vuol dire? Qualcosa non mi è chiaro.

Direte voi: «che domanda banale!». Invece non credo sia poi così banale.

Tornando agli albori della sua storia, possiamo dire che la subacquea ricreativa, costituita da minimali attrezzature e con poche vere regole era una; oggi ci sono così tante didattiche, scuole di pensiero, metodologie di immersione, che si può avere l’idea che una sia meglio dell’altra.

Di seguito vi proponiamo alcuni attori di questo teatro interessante e complesso che ci daranno delle indicazioni, ci racconteranno le difficoltà del nuovo che avanza, eventuali differenze, cercando di far comprendere meglio il tutto. Per fare questo abbiamo preso in considerazione diverse didattiche e molte altre saranno coinvolte durante il prosieguo di questo lavoro che si articolerà su diverse puntate, arricchendosi di interessanti spunti attraverso la vostra lettura e la vostra partecipazione. Che sia chiaro, l’obiettivo è di esplorare un mondo che si evolve, che si propone con nuovi standard, strumenti e regole, ma anche capire se il punto da cui si è partiti stia diventando obsoleto, oppure rimanga un punto fermo dal quale iniziare.

Rispondono per questa prima parte: Fabio Ruberti per IANTD; Flavio Turchet per UTD; Pierluigi Gagliardi per PADI.

Oggi il Nitrox è ricercato da tutti, ma vediamo le difficoltà del nuovo che avanza…
Illustrissimo Ruberti – IANTD – la vostra storia dice che siete stati i primi a proporre corsi in Nitrox, quante difficoltà avete riscontrato prima che ci fosse un boom dell’uso delle miscele?

«Noi siamo stati i primi a insegnare in Italia (e in molte altre nazioni) corsi di Nitrox (EANx) e non solo, ma anche di tutto ciò che è compreso nel termine di Subacquea Tecnica, perciò corsi di trimix, di circuiti chiusi eccetera. Le difficoltà sono state enormi, perché questa evoluzione andava a intaccare ben precisi e consolidati interessi di agenzie e ditte di produzione di equipaggiamento al servizio della subacquea ricreativa che vedevano nella subacquea tecnica una minaccia alle loro posizioni acquisite».

Come inizio non c’è male. Il nuovo che avanza spaventa. Spostiamo ora l’attenzione su quello che viene definito “lavoro di squadra” nel mondo DIR e “sistema di coppia” nella subacquea ricreativa e subito troviamo le prime differenze.

Caro Flavio Turchet – UTD – Da sempre ogni didattica insegna ai suoi subacquei il sistema di coppia, ci sono differenze dal metodo DIR?

«Il sistema di coppia è stato ed è alla base della quasi totalità degli approcci didattici passati e presenti. Il concetto di coppia come entità minima capace di garantire una forma basilare di sicurezza nelle immersioni subacquee è fortunatamente oggi considerato un imperativo assoluto. Il vero problema è che il significato di coppia viene spesso sminuito o barattato per un più utilitaristico significato di scorta. Il compagno d’immersione non è realmente un’amplificazione del proprio corpo e della propria mente capace di risolvere come vorremmo un’eventuale emergenza ma rappresenta una scorta di gas affiancata alla nostra immersione. Insomma la coppia non costituisce un’unica realtà olistica ma una semplice somma di attrezzature spesso completamente diverse, governate da menti che pensano in modo difforme. Non è raro vedere persone che senza alcuna condivisione e pianificazione si immergono con computer dotati di tabelle ed algoritmi differenti; ciò costituisce l’emblema dell’individualismo. In UTD insegniamo il sistema di coppia come ogni altra realtà didattica ma incentiviamo l’aggregazione poiché crediamo che un team d’immersione non sia un’amplificazione di problematiche quanto piuttosto un rafforzamento per la soluzione di qualsiasi inconveniente. Uno fa, uno aiuta, uno controlla. Tre sarebbe il numero perfetto. La vera forza del sistema d’immersione UTD però è che, dalla più semplice cellula base di due persone fino a quella complessa di un vero e proprio team d’esplorazione, in acqua vi è un’unica testa pensante. Questo lo si può realizzare solo formando le stesse solide abilità di base, utilizzando le stesse identiche attrezzature, la medesima memoria muscolare ed un unico strumento decompressivo mnemonico di facile impiego. La vera sicurezza non ha quindi un significato soggettivo ma è garantita da un preciso protocollo, un complesso di regole e procedure che devono essere conosciute ed applicate da tutti i subacquei. Prendendo a paragone i pesci, nel sistema UTD due, tre o anche più subacquei non saranno mai in acqua come uno sciame ma come un banco polarizzato con risposte uguali ad ogni stimolo esterno. Tutto questo lo si può realizzare solo con il lavoro e l’impegno, rinnegando nella maniera più assoluta il concetto che la subacquea sia uno sport facile. Nessuno dei nostri allievi verrà mai addestrato a sviluppare le proprie abilità a contatto con il fondo poiché è semplice intuire che se il fondo non ci fosse quanto appreso non servirebbe più a niente. Questo rende le nostre coppie realmente consistenti e capaci di ottenere il massimo divertimento dalle proprie immersioni».

Pierluigi Gagliardi, Consultant, Training and Quality Management Padi, definisce il concetto di squadra e sistema di coppia in modo filosofico:

«La subacquea è molte cose allo stesso tempo. Per molti è un lavoro fantastico, per altri una sfida (contro se stessi, contro gli elementi) oppure una scusa per viaggiare e soddisfare l’esploratore che risiede dentro ognuno di noi ma anche una forma per esprimere il nostro “io artistico” ( penso a chi si specializza in fotografia subacquea che è sì una tecnica ma soprattutto un’arte). Comunque si viva la subacquea, qualsiasi sia la ragione per la quale ci si è immersi per la prima volta e si continua a farlo per anni ed anni, la subacquea resta una attività sociale che poco senso avrebbe se vissuta in solitario. Anche il più estremo dei subacquei tecnici resta comunque un ingranaggio di un complesso sistema sociale. La squadra come il compagno di immersione sono la nostra estensione in acqua e sicuramente svolgono un ruolo utilitaristico ma sono anche e soprattutto la natura di questa meravigliosa attività».

Termina qui la prima parte, a breve la seconda con altre domande e interviste assolutamente imperdibili.

Continua…

La subacquea consapevole

2 Comments

  • Guglielmo
    Posted 3 Aprile 2015 14:40 0Likes

    Condivido quanto dice Turchet:
    è sempre importante sottolineare gli aspetti organizzativi e comunicativi del gruppo sub sia a terra che in acqua.
    E non lo si fa abbastanza, non si studia abbastanza quello che succede in acqua al gruppo.
    Turchet dice: uno fa, uno aiuta, il terzo controlla, mi pare che tre sia il numero perfetto (omnia tria perfecta sunt!) della cellula base d’un team funzionale che si muove non come uno sciame ma come un banco polarizzato dall’unica testa pensante. Lo studio etologico dell’organizzazione dei gruppi animali ha molto da insegnarci.

    • Gio
      Posted 18 Aprile 2015 21:06 0Likes

      Guglielmo, se lo dici tu ci credo… la domanda è: il subacqueo se pur addestrato a tal maniera, applica poi veramente il tutto?

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