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Inizia come tante altre la seconda vita di questo cargo Turco. Un relitto tecnicamente piuttosto facile ma non per questo meno ricco di emozioni. E con qualche inaspettata sorpresa…

A cura di Claudio Budrio Butteroni

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Salpato dal porto di Ortona alla volta delle coste algerine con un carico di matasse di filo di ferro, giunge in prossimità di Torre Vado dove, a causa di uno spostamento del carico, comincia a inclinarsi. A nulla sono valsi i tentativi del personale di bordo di ripristinare i corretti assetti nelle stive. Nelle prime ore del pomeriggio la nave si inclina ulteriormente iniziando a imbarcare acqua. Affonderà dopo poche ore. Erano le 21:30 del 28 giugno 2007.

La nave si adagiò su un fondale di circa venti metri in assetto di navigazione. Le procedure di emergenza, prontamente attivate, riuscirono a scongiurare un gravissimo danno ecologico, recuperando – nel corso dei giorni successivi – circa 20.000 litri di gasolio e circa  7 tonnellate di olio.

La scarsa profondità del sito, se per un verso ha reso il relitto largamente accessibile, per un altro l’ha lasciato esposto alla forza del mare. Le ripetute burrasche invernali hanno agito sulla struttura della nave spezzandola in due. La prua, stabilmente adagiata sul fondale per via delle oltre 1.000 tonnellate di carico, è rimasta in assetto di navigazione, mentre la poppa è ruotata di circa 90 gradi e inclinata di circa 40.

Torre Vado è una località marina nel comune di Morciano di Leuca, nella la propaggine meridionale della costa ionica salentina (Puglia), a poca distanza da Santa Maria di Leuca. Percorrendo la litoranea verso sud è impossibile non far caso al cartello che indica la sede del Diving Service di Marcello Ferrari. La struttura, che occupa l’intero piano terra di una palazzina, offre confort di ogni genere. L’entrata del locale è presidiata dalla scrivania di Marcello che mi accoglie con il suo sorriso. Non ho preavvisato del mio arrivo ma l’accoglienza è comunque calorosa. Dopo le presentazioni di rito, scarico la mia attrezzatura nel grande patio che si distribuisce attorno al centro e mi lascio istruire da Marcello sui migliori posti per alloggiare e cenare nei giorni a seguire.

L’appuntamento per l’immersione è per il giorno successivo, alle 15:30; il relitto è a poche centinaia di metri dal porto di Torre Vado, distanza che percorriamo in pochi minuti di navigazione sull’imbarcazione del diving.

Finito il briefing, scendo in acqua per primo e prendo il contatto con il relitto a pochi metri di profondità, in prossimità della struttura che sostiene i bighi di carico. Mi fermo per attendere il resto del gruppo e già mi accoglie un branco di barracuda che ruota attorno alla struttura.  Il mio rebreather mi consente di passare quasi inosservato e di godermi lo spettacolo fin quando l’arrivo dei miei compagni pone fine alla giostra.

Una volta ricompattato il gruppo scendiamo fino al ponte e percorriamo il camminatoio del lato di sinistra sino alla prua. Qui ci spostiamo sul fondo e, seguendo la catena dell’ancora di sinistra, ci allontaniamo di qualche metro per poter godere di una visione di insieme; la prua della grande nave ci sovrasta dall’alto del suo imponente sviluppo verticale. E, sebbene la visibilità oggi non sia certo delle migliori, ciò non disturba più di tanto, anzi: l’intera ambientazione e il senso di mistero che emana ne risultano avvantaggiati.

Ci dirigiamo nuovamente verso il relitto e giunti in prossimità dell’ancora di dritta, ancora al suo posto nell’occhio di cubia, anziché costeggiare il lato di destra, tagliamo per 45 gradi nella sabbia. Bastano poche pinneggiate per intravedere il troncone di poppa, adagiato a pochi metri di distanza sul lato di sinistra. Costeggiamo la chiglia dello scafo nella parte più profonda fino a scorgere l’elica, parzialmente insabbiata, e la pala del timone. Completato il periplo ci dirigiamo nuovamente verso il troncone di prua.

Strada facendo ci imbattiamo in uno dei tanti spettacoli della natura. Distesa sulla sabbia scorgiamo una ovatura di Tonna galea (Linnaeus, 1758), uno dei fantastici ospiti dei nostri mari noto anche con lo pseudonimo di “elmo”  o “doglio”; mollusco dalle dimensioni inusualmente grandi – la conchiglia degli esemplari adulti può superare anche i 20 cm di diametro! –, la sua deposizione di uova non è meno spettacolare, prendendo l’aspetto d’una specie di larga fascia trinata e ondulata, lunga anche 1 metro!

Raggiungiamo infine la sezione prodiera in prossimità della grande stiva a centro nave, là dove la nave si è spezzata. Riusciamo quindi a gironzolare senza alcuna difficoltà tra le matasse di filo di ferro che ora sono sparse al difuori della stiva, senza necessità di addentrarsi in spazi angusti. I minuti a nostra disposizione si stanno esaurendo; risaliamo lungo la torre di centro nave e raggiungiamo la cima di ormeggio che ci guida alla nostra imbarcazione.

Il tempo è sempre tiranno e quello scandito dalla curva di sicurezza a maggior ragione. Mentre rientriamo in porto il sole è ancora alto sull’orizzonte a testimoniare la voglia di tornare che già sento crescere in me.

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