Stiamo parlando del vulcano sottomarino Marsili, il più grande d’Europa e del Mediterraneo, tutt’ora attivo. Mezzo chilometro di mare ne separa la vetta dalla superficie. Basta a tranquillizzare o c’è del vero nei rischi di tsunami paventati circa un suo improvviso risveglio?

A cura della Redazione.
Foto apertura by oceanexplorer.noaa.gov: il “D2”, NOOA Ocean Exploration, 2015, Puerto Rico’s Seamount.
Altre foto: INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia https://www.ingv.it/ Google Maps; cilentoreporter.it; ANSA; lescienze.it; https://paperando.forumfree.it.

Immaginate di percorrere la rotta navale tra Napoli e Palermo. All’incirca tra un terzo e metà del tragitto, deviando un po’ a sud-sudest, osservereste un ipotetico ecoscandaglio di bordo balzare dai quasi 3.900 metri di profondità della piana abissale a una serie di vette la più alta delle quali arriverebbe ad “appena” 500 metri dalla superficie. Un dislivello di circa 3.400 metri, che è la sua vera altezza: più dell’Etna. In quel momento vi trovereste a navigare proprio sopra il vulcano Marsili.

Ma a volerlo sorvolare tutto continuando a navigarci sopra ne avreste per un bel po’: 70 km di lunghezza per 30 km di larghezza! Qualcosa come 2.100 km quadrati di estensione superficiale.

E notereste quello che è in realtà un intero complesso – o sistema – vulcanico, con numerosi coni e parecchie bocche eruttive…oltre una quarantina.

Un autentico, gigantesco “mostro” marino (geologico). Solo addormentato, peraltro: gli scienziati hanno appurato che è in realtà un vulcano attivo, nient’affatto inerte. Per la precisione, uno “strato-vulcano” (tipologia di vulcani di ampia base e d’altezza in proporzione minore, insomma larghi e tozzi), con attività eruttiva di tipo prevalentemente effusivo e talvolta esplosivo.

Come avranno mai fatto a capirlo?

Non è che in realtà si sappia poi ancora granché di certo su questo bestione sonnolento – scoperto da appena un secolo e studiato sul serio dal 2.000 in poi – e il mistero che lo ammanta, nascosto sotto tutta quell’acqua di mare, è stato nel tempo alimentato proprio da ciò che non se ne sa piuttosto che da quel che si è riusciti a scoprire, donde i timori di scenari catastrofici – tsunami devastanti – alla sola possibilità che eruttasse nuovamente. Questo il link su YouTube dove potrebbe piacervi vedere un’interessante simulazione animata di ciò che nell’ipotesi accadrebbe:

Ma partiamo proprio da quel che s’è accertato sul suo stato per capire se e quanto siano fondati quei timori. E se dovremmo preoccuparcene.

Secondo tre studi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IAMC-CNR), pubblicati su Earth-Science Review, Gondwana Research e Global and Planetary Changes: “Risalgono a un’età compresa tra 7000 e 2000 anni fa, le eruzioni più recenti del Marsili. Eventi a basso indice di esplosività, avvenuti in particolare nel settore centrale dell’edificio tra gli 800 e i 1000 m di profondità”, spiega Guido Ventura, ricercatore dell’INGV e dell’IAMC.

È comunque del 2006 la campagna esplorativa di nave UniversitasCNR – che fece la scoperta forse più dirimente circa l’attività del vulcano: furono infatti prelevate colonne di sedimento tramite carotaggio che evidenziarono due livelli di cenere vulcanica rispettivamente di 15 e di 60 cm di spessore. Ebbene, datando con la tecnica del Carbonio14 alcuni gusci di organismi viventi intrappolati negli strati di argilla adiacenti a quelli di cenere si poté stabilire che i due eventi eruttivi erano avvenuti fra i 3.000 e i 5.000 anni fa.

È comunque quanto basta e avanza per definire appunto “attivo” il Marsili e potenzialmente in grado di generare ulteriori eruzioni, anche esplosive, considerando che i tempi trascorsi dalle ultime – in termini geologici – le rendono classificabili come “recenti”.

Inoltre, segni minori dell’attività del Marsili ce ne sono stati e quasi di continuo: nel settembre del 2016 originò un sisma di magnitudo 3.2, con ipocentro a circa 4 km di profondità, mentre una seconda scossa fu registrata a ottobre e si rivelò di magnitudo 5.8 della scala Richter. Come ascoltarlo russare nell’oscurità perenne della sua camera da letto in fondo al mare.

Ma il punto nodale rimane quello di riuscire a stimare il “tempo di ritorno” medio di un evento eruttivo e su questo si conosce ancora davvero troppo poco anche solo per immaginare tentativi di previsione. Occorrono ulteriori studi che possano far cogliere tracce di altre eruzioni del passato, per individuare più intervalli tra l’una e l’altra. Altrimenti sarebbe come prendere in considerazione solo i dati di due eruzioni a caso dell’Etna senza curarsi delle molte altre decine che pure sono accadute (solo dall’inizio del secolo scorso). E del Marsili di tali datazioni se ne conoscono solo quattro!

Inoltre c’è da dire che, pure in caso di eruzione, lo strato di mare di 500 metri che separa il Marsili dalla superficie agirebbe da “filtro assorbente” per l’energia che si libererebbe dal vulcano e ne dissiperebbe talmente l’intensità da lasciare che si manifesti in superficie come semplice ribollio, un’emersione di bolle gassose e di pomici galleggianti, un fenomeno che potrebbe protrarsi certo per settimane ma al massimo consiglierebbe una deviazione precauzionale nelle rotte navali.

È semmai un’altra la preoccupazione su cui riflettere rispetto a quella di un’eruzione esplosiva che resta altamente improbabile nella scala di misura temporale della vita umana, nonché d’effetto trascurabile in superficie e sulle coste: e si tratta dell’eventualità che un intero settore dell’edificio vulcanico crolli, o cada franando verso il basso repentinamente…è ciò che avviene nei cosiddetti collassi laterali.

Si tratta dopotutto d’un fenomeno noto, riscontrato di continuo e da sempre in vulcanologia; quando è d’entità contenuta, equivalente più a uno slittamento di materiali che a un vero e proprio crollo, sott’acqua è chiamato “seafloor sliding” (= franamento del fondo marino), è un’attività limitata agli strati superficiali del fondale ed è l’unica che sia stata rilevata nel solo settore centrale del Marsili.

In ogni caso, ciò potrebbe preoccupare in dipendenza della massa della frana che solo sopra certi valori ponderali e volumetrici potrebbe determinare un’alterazione tale del moto ondoso da innescare la genesi di uno tsunami.

Ma la sola traccia individuata finora di crolli sul Marsili – di cui ormai si conoscono abbastanza bene almeno il profilo, la morfologia, i pendii e le loro inclinazioni ecc – è quella sopradetta, tra gli 800 e i 1.000 m di profondità del corpo centrale; e testimonia un evento franoso da circa 1 km cubo di materiali rocciosi spostati…giudicato praticamente irrilevante!

Per il resto, non sono state trovate evidenze residuali di altre frane cospicue, tantomeno sul tipo del collasso laterale, associabili a fenomeni ondosi anomali del passato in Mediterraneo nell’arco degli ultimi 700mila anni.

Naturalmente, tutto questo non significa poter essere certi che non ci sia alcun rischio: in geologia, ciò che non accade in 100mila o in 10mila anni può sempre accadere in 1 giorno. Ma le probabilità che sul Marsili succeda a breve o medio termine qualcosa di veramente preoccupante sono davvero del tutto irrisorie.

Diciamo piuttosto che viene tenuto costantemente sotto osservazione – anche, tra gli altri enti citati, dall’Istituto Idrografico della Marina Militare – non meno di altri vulcani sottomarini scoperti nel Mediterraneo, come i più noti Vavilov e Magnaghi, ma anche Palinuro, GlaucoEoloSisifoEnarete; per non dimenticare i numerosi apparati vulcanici nel Canale di Sicilia, dove le eruzioni sottomarine al largo di Pantelleria nel 1891 e al largo di Sciacca nel 1831 (con la celeberrima “isola” Ferdinandea che appare e scompare) rappresentano le uniche testimonianze storiche di epoca relativamente moderna circa questo tipo di attività.

Sul nostro pianeta le eruzioni vulcaniche sottomarine accadono principalmente in due zone: nelle dorsali oceaniche, dove i margini delle zolle si separano; e in prossimità delle zone di subduzione, cioè nei punti in cui una zolla scorre andando a incunearsi sotto un’altra (sempre in ambito oceanico). In queste particolari zone il magma – che nasce nel sottostante mantello terrestre – viene eruttato. E, considerando che in scala ridotta qualcosa del genere accade anche in fondo al Mediterraneo sui vulcani del cosiddetto “arco Eoliano” nominati sopra, ciò contribuisce a fare del Tirreno una sorta di micro-oceano.

E a questo punto è lecito chiedersi – per esempio – che tipo di biologia esista su questi “sea-mount” mediterranei e se nel loro caso – come sembra già dai primi più recenti studi – esistano biocenosi altrettanto sorprendenti di quelle scoperte su dorsale oceanica nei pressi delle Galapagos nel 1977, in corrispondenza delle “black-smokers” (fumarole nere), emissioni idrotermali bollenti, di anidride carbonica e zolfo, in totale assenza di luce solare!

Dopotutto, di un idrotermalismo cospicuo e disseminato a più batimetriche si è già appurata l’esistenza sia sul Marsili sia sugli altri vulcani sottomarini mediterranei scoperti.

Godiamoci dunque tranquilli tutta la consapevolezza dei magnifici misteri che la Natura sa ancora regalarci, in fiduciosa attesa che la scienza – e non i media scandalistici – compia le sue ricerche.

Chi non vorrebbe intanto farsi un giretto laggiù per vedere cosa – o “chi” – c’è?

Noi magari ve lo anticiperemo in una successiva, prossima puntata, tornando a bomba proprio sugli aspetti più biologici. Restate connessi!

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