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PSAI, il ritorno di una didattica con un passato glorioso e un presente fatto di certezze

A cura di Isabelle Mainetti

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”8758″ content_image_size=”full” content_title=”Boa segnasub e barche… ecco un’attrazione fatale ma solo per il sub” lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″]

Didattiche!
Quanti discorsi, opinioni, idee e persino promesse.
Alcune nascono, altre muoiono e altre… ritornano.
Sicuramente dietro a tutte queste sigle si trovano altrettante e forse più persone che credono in ciò che fanno, che s’impegnano a creare e a migliorare la loro visione di subacquea.
Grazie a Giorgio Anzil e ai suoi interessanti articoli abbiamo un’idea più chiara delle didattiche più conosciute, divise da ideologie e metodi, ma unite dall’unica vera passione che è, immergersi.
Una mattina qualunque prima di un’immersione ascolto per caso una conversazione dove l’argomento era proprio una didattica: la PSAI.
Ma non era sparita?
La prima battuta che mi è venuta in mente è “a volte ritornano” (“A volte ritornano”, è la prima raccolta di racconti di Stephen King, 1978). Ecco che, da curiosa e un po’ provocatrice, sparo domande a go go e mi rendo conto che davanti a me ho proprio coloro che l’hanno riportata in vita, Maurizio Bertini e Leonardo Canale.
La chiacchierata si fa lunga e termina con un buon caffè e una promessa, da parte loro, di rispondere pubblicamente alle mie domande, a volte anche “pesanti” e, soprattutto, sul motivo che li ha spinti a portare in vita una cosa ormai morta e perché qualcuno dovrebbe sceglierla.

Maurizio Bertini inizia con le immersioni nel 1989 in SSI fino a diventare Divemaster per arrivare poi nel 1998 in IANTD e li inizia il suo percorso, prima di subacqueo tecnico, e poi di Istruttore con migliaia d’immersioni alle più svariate profondità. Nel 2001 scopre ed esplora, insieme a Stefano Sargenti, il relitto del Capacitas a largo di San Vincenzo e di varie chiatte motorizzate adibite a trasporto mezzi. Nel 2013 scopre ed esplora insieme ad Andrea Bada, Primo Valentini e Davide Bianchi le navi gemelle della Gorgona. Oltre a queste scoperte ha esplorato moltissimi relitti nel Mediterraneo e si è immerso in ogni ambiente acquatico, compresa la barriera corallina australiana. Nel 2008 inizia a utilizzare il rebreather e nel 2013, insieme a Leonardo, diventa Country Liceens di PSAI per l’Italia dove prosegue il suo percorso come trainer. “Penso che quello che tutti chiamano Mare io lo chiamo Casa e, ancora dopo ventisei anni di attività, cioè una passione lunga una vita, credo che sia l’unico luogo dove si possa trovare serenità perché è un ambiente magico”.
Leonardo Canale nasce come subacqueo nel 1984 in Sardegna grazie (o per colpa) di due corallari che lo portarono in mare la prima volta. Si può dire che da quel momento non ha più smesso. Nello stesso anno, in estate, frequenta il suo primo corso PADI e poi su, su, su fino a diventare, nel 1994, istruttore. Le sue esperienze sono state diverse orientate, soprattutto, alla protezione dell’ambiente e alla biologia (n.d.r. è laureato in Biologia Marina). Lo studio sulle dinamiche della popolazione di vari organismi marini lo ha portato a fare immersioni in tutto il Mediterraneo, fino in Mar Rosso, a Zanzibar, in Repubblica Domenicana e in Somalia.
Nel 1998 entra in IANTD e acquisisce un’importante competenza nell’ambito della subacquea tecnica entrando poi anche nel mondo dei rebreather. Il suo percorso di crescita continua e, per varie peripezie della vita, insieme al suo amico Maurizio nel 2013 riesce diventare Country License Italy per PSAI. In questa didattica prosegue la sua formazione come trainer e si specializza su nuovi rebreather.
“Che dire! Dopo tanto tempo passato in acqua la passione non è ancora finita, anzi è addirittura cresciuta. Non nego che a volte, in certi periodi particolari, avevo anche pensato di mollare ma per adesso sono sempre più convinto di quello che sto facendo. E la storia non finisce qui, seguiteci e vedrete”.

Girano parecchie voci sulla fine/morte della PSAI in Italia… la verità?
La verità è che, come per tutte le didattiche, il suo successo o il suo fallimento dipendono da chi le gestisce e purtroppo negli anni ‘90 furono commessi molti errori che portarono a fatti anche tragici ma che nulla avevano a che vedere con il sistema didattico ma solo con la sua gestione. Oggi tutto questo fa parte del passato e non esiste più.
Senza fare nomi, mi potete dare un’idea di cosa è successo?
Possiamo senz’altro affermare che PSAI negli anni ‘90 era, insieme a IANTD, la didattica tecnica di maggior spicco e, in quel periodo, è stato fatto fatto un ottimo lavoro di promulgazione. Poi una gestione, un po’ troppo disinvolta nei sistemi d’insegnamento e nella didattica stessa, e, a causa anche di numerosi incidenti, s’incominciò ad associare Psai a pericolo. Da lì è iniziato in Italia il tracollo di una delle didattiche più prestigiose al mondo.
Perché rivolgersi a una didattica considerata finita, morta?
Perché ha un passato glorioso e oggi è stata completamente rifondata e rinnovata al punto di essere l’unica didattica tecnica con l’ISO 9001 su tutti i corsi.
Non era più semplice far parte di qualcosa che già esisteva?
Assolutamente sì. Questi sono stati due anni molto difficili, molto è stato fatto e molto c’è ancora da fare ma noi amiamo le sfide e le avventure e con PSAI abbiamo trovato sia l’una sia l’altra.
PSAI ha una storia gloriosa alle spalle. Ma oggi?
Professional Scuba Association International è una delle agenzie didattiche di subacquea tecnica più vecchie del mondo. Per molti anni è stata un’organizzazione piccola e specializzata principalmente nell’addestramento subacqueo associato all’immersione e all’aria profonda. Virtualmente tutti i primi passi di PSAI si basano sul fondatore Hal Watts.
PSAI nasce nel 1962 per merito del suo fondatore Hal Watts a Orlando, Florida con il nome di “Florida Scuba Association” L’esperienza di Hal con la subacquea inizia nel 1955 mentre stava frequentando il corso in giurisprudenza all’università. Nel 1960 Hal diventa un assiduo praticante dell’immersione profonda e sviluppa delle tecniche efficaci, testate per immersioni a profondità oltre il limite ricreativo dei 40 metri. Nel 1967, usando i metodi che lui stesso aveva sviluppato, conseguì il record mondiale di profondità raggiungendo i 119 metri. Nel 1970 Hal scrisse e depositò i diritti d’autore del primo manuale d’immersione profonda per istruttori.
PSAI ha sempre portato avanti la sua storia, una storia meravigliosa fatta di esplorazioni senza confini, nei mari, nelle grotte e, soprattutto, nell’ animo di chi si immergeva.
Fin dagli albori della subacquea tecnica, fatta di record e vittorie, la PSAI è sempre stata presente. I protagonisti americani della subacquea estrema ebbero il coraggio di trasformare le loro grandi esperienze in didattica perché, chi voleva andare oltre, non commettesse gli stessi loro errori e perché imparasse ad affrontare l’estremo con il miglior sistema possibile.
Sì, ma ora?
Noi siamo il nuovo che avanza, quelli che, attraverso l’esperienza pluridecennale del nostro marchio, ma anche con la minuziosa e continua ricerca di nuove soluzioni sia in CA sia in CC, abbiamo reso PSAI una delle didattiche più aggiornate e sicure del panorama Italiano ed europeo.
Perché scegliere PSAI oggi? Che cosa la distingue dalle altre didattiche?
Dinamicità, innovazione, professionalità e qualità.
Belle parole ma anche gli altri possono dire le stesse cose, non trovate?
Senza dubbio ma oltre alle nostre belle parole ci sono i fatti. Siamo più dinamici, tutti i mesi organizziamo uno o più eventi e spingiamo gli istruttori a fare altrettanto affinché si possano distinguere per le loro competenze e professionalità. Siamo innovativi sia nel CCR con nuovi Reb, sia nel circuito aperto con nuove metodologie. Uno su tutti l’Open Water Horgatian, un corso che prevede l’utilizzo della configurazione hogartiana fin dall’Open.

Sì, ma ancora non vedo un vero salto di qualità tutto sommato.
Giusto, qualità, è questa la parola “magica” che fa la differenza con le altre didattiche. Ti chiederai in che modo? Nel modo più semplice, applicando realmente gli standard attraverso una verifica del lavoro che istruttori e trainer svolgono.
Come?
Obbligo da parte dell’istruttore/trainer di comunicare luogo e data dei corsi in modo da poter effettuare senza preavviso controlli di qualità ogni sei mesi . In questo modo si avrà la garanzia che i corsi vengono fatti secondo le regole.
Niente altro?
Certo che sì! Dal 2016, al di là del classico rinnovo annuale, abbiamo introdotto per i brevetti di istruttori e trainer, la scadenza biennale e quindi l’obbligo dell’aggiornamento pratico/teorico. In sostanza in Psai Italia vuole, quindi noi vogliamo, solo chi è veramente preparato e aggiornato e non chi s’improvvisa. Proprio in febbraio di quest’anno è stato effettuato il 1° corso di aggiornamento PSAI Italia, con immersione sulla Haven.
Ma qualcuno potrebbe obbiettare, solo belle parole e propaganda.
Senza dubbio ed è per questo che noi chiediamo a tutti voi di controllare e verificare se quello che vogliamo fare si trasformerà in realtà. Aggiungiamo che la nostra è una specie di rivoluzione copernicana applicata alle didattiche e credo che proprio quelli che obietteranno saranno i primi a voler mantener lo “status quo”, ovviamente per mera convenienza economica.
Credete che queste vostre innovazioni creeranno polemiche?
Noi crediamo che si cercherà di far fallire il nostro “modus operandi” però, se cosi non sarà, noi saremo ben felici di collaborare con tutte quelle didattiche che decideranno di seguire questo nuovo metodo di lavoro.
Per diventare un Istruttore PSAI quanta esperienza si deve avere?
Da un minimo di cento immersioni in su a seconda del tipo di corso. Si deve avere un passato attivo da Diver in modo tale da aver fatto un’adeguata esperienza per la tipologia di istruttore che si vuol diventare ma, soprattutto, si deve avere l’umiltà di mettersi in gioco per apprendere e non pensare di sapere già tutto.
Quanti sono oggi i vostri istruttori?
Due anni fa, all’inizio di questa nostra esperienza, gli istruttori effettivi erano venti. Oggi siamo quasi cento.
Parecchi direi, avete formato quasi quattro istruttori al mese. Un bel lavoro! In quanti siete come esaminatori? Hanno tutti raggiunto i vostri canoni di preparazione?
Ci sono dodici trainer e tutti hanno raggiunto quanto richiesto. Ovviamente, come già detto, tutti dovranno compiere gli aggiornamenti.
Se qualcuno dei vostri allievi non fosse pronto alla fine del corso, cosa succede?
Ipotesi difficile con la professionalità dei nostri istruttori (n.d.r.: a questa risposta mi nascono un centinaio di punti di domanda in testa, stile fumetto) ma se questo dovesse accadere bisogna distinguere tra due casi: il primo, non essere pronti perché nonostante tutto non si è idonei e il secondo, non essere pronti per motivi personali. Nel primo caso semplicemente non viene rilasciato il brevetto e si indirizza l’allievo su altre tipologie di immersioni o sport. Nel secondo caso si cerca di valutare la problematica e risolvere il problema con ulteriori lezioni.
Quindi può accadere che qualcuno non superi l’esame finale del corso?
Sì, potrebbe essere, perché con noi non esiste l’obbligatorietà del brevetto se l’allievo non viene considerato idoneo anche se ha gli standard minimi.
Come vi comportate nel caso che l’allievo abbia problemi nell’apprendimento e alla fine del corso non sia ancora in grado di fare ciò che è richiesto per quel tipo di brevetto?
Andiamo avanti ad oltranza con la preparazione finché non si arriva all’obbiettivo. Ripetiamo nessuno viene abbandonato.
Una domanda provocatoria: un istruttore che prepara un allievo per un certo livello, ipotizziamo un 40 mt. Quale brevetto deve possedere o che preparazione minima gli è richiesta? So che è utopia, ma non sarebbe meglio avere una preparazione superiore al corso che si va a insegnare?
Dovrebbe essere soprattutto ben preparato e, sicuramente, con una buona esperienza personale del livello che andrà a insegnare prima di essere responsabile di terzi.
Ok per i ricreativi. E per i corsi tecnici? Che garanzie date sulla formazione di questi Istruttori?
Noi siamo stati, nel 1962, la prima didattica tecnica a nascere e questo ci permette di avere alle spalle una tale esperienza da aver approntato sistemi di insegnamento con la maggior qualità del settore. Una sola garanzia: provare per credere.
Facciamo un esempio: Un istruttore “Trimix Expedition”, 75 mt, quante immersioni dovrà avere a quella profondità?
Deve fornire la prova di un minimo di cinquecento immersioni registrate a quella profondità, di cui almeno duecento più profonde di 30 mt e almeno cinquanta immersioni Trimix a quella quota.
Ultimamente, per motivi economici, si sta sviluppando la tendenza a raggruppare più allievi nello stesso corso e a concentrare più lezioni in una giornata. Questo porta a una riduzione della qualità. Cosa ne pensi di questi istruttori che applicano questa metodologia di lavoro che possiamo chiamare “al ribasso”?
Un fenomeno che fa male alla subacquea perché produce brevetti ma non subacquei preparati. Purtroppo la crisi economica in primis e la grande molteplicità di didattiche presenti in Italia hanno portato alla svendita dei brevetti pur di fare ugualmente numeri. Questo è un fenomeno che si è sviluppato soprattutto tra le didattiche ricreative, in particolare quelle che avevano, fino a qualche anno fa, un grande numero di brevettati. In seguito al calo di questi numeri si è sviluppata questa tendenza senza che le didattiche in questione facessero nulla per bloccarla. Il problema è che ci sono in gioco interessi molteplici che fanno si che non si riesca a collaborare tra gli addetti ai lavori perché non c’è fiducia reciproca. La soluzione? Un po’ di criterio e buona volontà. Riguardo agli istruttori “al ribasso”? Andrebbero fermati e sanzionati. Noi già un anno fa avevamo scritto, in una comunicazione agli istruttori, che era vietato l’uso di questi sistemi, pena sanzioni.
Porsi delle domande o avere dei dubbi è segno di crescita e autonomia mentale.
Cercare sempre di migliorarsi e di non accontentarsi fa la differenza, così come usare il cuore e la testa in ciò che facciamo prima del portafoglio. Questo ci può salvare la vita.
Non so se PSAI sarà la vostra scelta, l’importante è andare in acqua consapevoli.
E se altri addetti ai lavori o qualche rappresentante di didattiche volessero raccontarsi, lo aspettiamo a braccia aperte.

2 Comments

  • Romano Barluzzi
    Posted 8 Marzo 2016 17:08 0Likes

    Questa nostra pubblicazione “Didattiche morte, a volte ritornano” ha generato commenti articolati e corposi che, in quanto tali, necessitano di attenta disamina.
    A breve faremo seguito con i dovuti approfondimenti sulle tematiche che contengono.
    Restate connessi!
    -La Direzione di Serial Diver-

  • Nicoletta Codiferro
    Posted 9 Marzo 2016 19:25 0Likes

    Aspetto gli approfondimenti, grazie.

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