«Le labbra della sorgente c’invitano a emozioni forti. La prima è realizzare che come topolini stiamo per passare dove pochi sono entrati, dove molti non lo faranno mai…»

di Isabelle Mainetti. Foto Pino Piccolo

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”8191″ content_image_size=”full” content_title=”Bobbia, la grotta da film – Photo di Pino Piccolo” lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″]

Mai e poi mai avrei immaginato in cosa mi sarei imbattuta oggi.
Nei miei pensieri nulla sarebbe stato più fantastico.
Vi sarà sicuramente capitato di viaggiare nei posti più remoti con la fantasia alla ricerca di luoghi incantati, finendo per non notare le meraviglie dietro l’angolo: ecco, questa volta mi è bastato andare vicino a Lecco, a poco più di un’ora da casa mia.
A differenza dei soliti preparativi sommersa da bombole, stavolta ci si muove con niente di più che un miserrimo bibombola 7+7 caricato a 300 bar.
“Vedrete che meraviglia ci aspetta” ci diceva Luca Pedrali, istruttore e speleosub d’eccellenza, ma ogni sua parola non paga minimamente lo stupore e la meraviglia con cui si è presentata la grotta della sorgente della Lacca della Bobbia.
Abituata a grandi spazi, profondi si, ma ampi, mi eccitava l’idea di trovarmi in un ambiente completamente diverso.
Usare il termine “le viscere della terra” non è poi così lontano dalla realtà. La parvenza di infilarsi nell’intestino di un gigante è più verosimile di quanto pensassi.
Arrivati nel cuore del bosco della Valsassina nel paese di Barzio parcheggiamo.
L’istruttore cave Luca, Pino, i due fedelissimi cani Sly e Blanca ed io ci avviamo alla perlustrazione del sito d’immersione, bibo a spalle e un faticosissimo sentiero in salita preparano la giornata.
Con il fiatone e le gambe messe alla prova, seguendo il torrente, arriviamo all’ingresso della sorgente dove si presenta una spaccatura perpendicolare perfettamente levigata con evidente lo sfregamento tra le due faglie in tempi decisamente remoti. Lì, in basso, un buco. Quel buco è il buco d’ingresso. Un gioco di parole, si, che rende l’idea però del mio primario pensiero. Entriamo in un buco!
Le labbra della sorgente ci invitano ad emozioni forti, la prima è realizzare che come topolini stiamo per passare dove pochi sono entrati, dove molti non lo faranno mai.

Luca con tranquilla professionalità ci fa un briefing d’eccellenza sulla morfologia del posto e sulla sagolatura che andremo a stendere.
Si denota dal suo modo di spiegare la passione che lo pervade e la grinta con la quale intende prepararci. Non solo istruttore, ma prima di tutto esploratore speleosub ha raggiunto obiettivi strabilianti e tutto questo mi trasmette una buona dose di serenità.
Il primo a infilarsi nell’imbocco è Pino seguito da Luca e mentre aspetto seduta sul masso li osservo chinarsi nella risorgiva per poi sparire nel nulla.
Ora il silenzio, la luce delle torce si spegne lentamente e poi… più nessuna bolla.
Circa 20 minuti dopo è il mio turno, Pino è entusiasta ma non commenta, con espressione allegramente incredula afferra la telecamera e si carica per fotografare.
Ora tocca a me, adrenalina al massimo livello, rocchetto pronto in mano, caschetto con torce accese, bibo controllato, nodi impressi nella mente… pronta!
Mi chino riverente verso il buco e familiarizzo, osservo e scruto.
L’acqua è limpida, pare mancare, visibilità meravigliosa. Mi immergo e la mia avventura ora ha inizio.
Già mi piace, lo so, lo sento.
C’è un tubo subito sulla destra che uso come partenza per la mia sagola, il percorso è già armato da una cima principale, ma fingo non esista.
L’agitazione di essere sotto corso un po’ si fa sentire, non vorrei fare brutta figura e nel contempo voglio osservare dove mi trovo.
Sublime! Non ci sono parole per descrivere. Mi spiego ora perché Pino non commentava, come narrare ciò che stavo vedendo?
L’acqua brilla, il riflesso della superficie rende magico lo spettacolo con un luccichio argenteo diffuso ovunque.
Profondità non importante, pochi metri, ma le forme sinuose delle pareti, le colate del calcare simili a crema sul panettone a Natale, sembrano fantascienza.
Il passaggio è veramente stretto e la cosa mi eccita all’inverosimile.
“Sono in un film”, penso.
Sono parecchi i punti di ancoraggio, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Il corridoio prosegue per non più di una quindicina di metri fino all’imbocco di una finestra interna della dimensione inferiore a un ascensore portavivande.
Si apre a me ora una discreta camera separata da una maestosa colonna centrale e il luccichio riprende a danzare.
Sensazione strana per noi profondisti rendersi conto di essere in una immersione comunque “impegnativa” nonostante la tua testa sfiori quasi il pelo dell’acqua.
Il colore azzurro brillante accentuato dal bianco delle rocce circostanti viene riflesso in modo paradisiaco dalla presenza delle nostre torce.
Una volta dentro, ti rendi conto che in fondo questo primo sifone non è poi così ostile, ora nella camera, basta guardare in alto e rendersi conto che puoi emergere quando vuoi e che lo spettacolo che andresti a trovare è semplicemente mozzafiato.
Percorro ancora oltre, curiosa come non mai per un’altra sessantina di metri fino a che il corridoio non s’interrompe ed ecco la sorpresa.
Mettendo la testa fuori dall’acqua la ruotiamo come pupazzi per osservare ciò che ci circonda. Siamo in mezzo alle due faglie, le voci rimbombano e si mescolano con il brontolio costante della sorgente in movimento.
Bisogna alzare la voce per comunicare. Sollevando lo sguardo noto un cunicolo e Luca con sguardo birichino ci stuzzica sull’andare prossimamente in perlustrazione.
Sbucherà nel secondo sifone?

Non faccio a tempo a rattristarmi del fine percorso quando il bello ricomincia.
Ci togliamo l’attrezzatura e la fissiamo al cavo d’acciaio usato come sagola principale.
Pino abbandona momentaneamente la sua “Harley fotografica” per evitare che ci impedisca il passaggio o che si rovini.
Come veri speleologi aiutati da una corda già in loco ci arrampichiamo e tra le due faglie che si fanno più vicine strisciamo lateralmente passandoci in mezzo.
L’ideale sarebbe stato indossare sopra la muta una tuta speleo per muoversi con più tranquillità senza remore.
Ai nostri piedi si trovano tre tronchi perfettamente incastrati a far da passerella.
È davvero divertente. Il profumo della roccia, dell’umidità, esalta le sensazioni.
Colate enormi di calcare decorano il passaggio.
Alcune lisce al tatto e bombate come materassi, altre simili a palle da golf.
Per un attimo mi passa per la mente il film “Sanctum” e mi pare proprio di farne parte.
Pennellate di vari colori tra il giallo, il bianco, il nero e il marrone si mescolano come su una tela di pittore ed eccoci arrivati al termine del primo sifone, ma già subito lì, in basso in un altro buco, è pronto il secondo.
Per oggi dobbiamo rientrare, ma… la prossima volta trascineremo l’attrezzatura fin lì e continueremo.
Luca ci aveva avvisati: “…arrivati lì, vorrete sicuramente ritornarci per proseguire!”.
Ripercorriamo a ritroso il sifone, più rilassati e soddisfatti.
Raccolgo la mia sagola e – come se l’avessi sempre fatto – m’infilo spedita verso l’uscita per risbucare nel mondo normale.
La porta della “terra di mezzo” è ora alle spalle e ad attenderci scodinzolando e abbaiando felici ritroviamo il mio Sly e Blanca accompagnati da un inizio di tuoni, lampi, rimbombi e un acquazzone da foresta tropicale a incorniciare questa indimenticabile prima – di tante altre – avventura di corso!

1 Comment

Lascia un Commento