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Il mare di Gela restituisce da anni lingotti di “oricalco”, il leggendario “oro di Atlantide”. Ma era davvero “quasi oro”? Anche a mistero svelato, il suo fascino resta intatto.

La Redazione.

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Già avevano fatto parlare di sé per l’eccezionalità della scoperta, i 39 lingotti di “oricalco” – detto anche “oro di Atlantide”, o “quasi oro” – ritrovati nel mare davanti a Gela nel 2014 in appena 3 metri di profondità; a inizio 2017, ne sono stati rinvenuti altri 47!

Il materiale di cui sono fatti, diventato leggendario per l’accostamento al mito di Atlantide – «Il terzo muro, che circondava la cittadella, risplendeva della luce rossa dell’oricalco», si legge nei Dialoghi di Platone – e da sempre in parte misterioso, ha rivelato una composizione di rame e zinco, nelle percentuali rispettivamente del 77-80 e del 15-20, più minime quantità di nichel, piombo e ferro.

È probabile che il grande valore dato all’epoca al metallo – dodicimila anni fa a livello d’importanza veniva dopo solo l’oro vero – dipendesse si dalla bellezza del suo colore aureo giallo-rossastro ma soprattutto dalla sapienza della produzione – custodita come facoltà da alchimisti – di creare un metallo originale unendo assieme due metalli in fondo comuni grazie alla conoscenza di una tecnica di cementificazione, giacché la fusione avrebbe fatto sublimare – volatilizzandolo – lo zinco.

Oggi i lingotti sono esposti al museo archeologico regionale di Gela, insieme a due elmi corinzi quasi intatti nonché a vari altri importanti reperti estratti dal fondo del mare, che fanno parte della stessa area di ritrovamenti, a cura della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia.

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