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Fiorella Giulia Bertini: ovvero “storie vissute dell’evoluzione della subacquea”. 

A cura di A cura di Isabelle Mainetti

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”10991″ content_image_size=”full” content_title=”Boa segnasub e barche… ecco un’attrazione fatale ma solo per il sub” lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″ el_file=””]

Ho conosciuto un personaggio particolare, una donna speciale. Tante emozioni alle spalle e tanta storia da condividere. Sportiva, dinamica e con una tenacia impressionante nonché una memoria sbalorditiva. Chiacchierando con lei di subacquea, mi pareva di sentir leggere un libro di storia di immersioni, ma con le emozioni di chi le ha vissute, ed è così che le ho chiesto di raccontarci un po’ di lei per far conoscere, in particolare ai nuovi sub, come siamo arrivati alla subacquea di oggi e come ciò che oggi ci pare normale o mostruoso, una volta era semplicemente diverso.

«Sono Fiorella Giulia Bertini. Nata a Milano nel dicembre 1945. Non deve trarre in inganno il luogo in cui sono nata. Essendo figlia di genovesi sono cresciuta in riva al mare, in una casetta sull’Aurelia a Cogoleto. Il mare è da sempre il luogo in cui mi trovo meglio, fin da piccola, quando sulla spiaggia scappavo dalla mamma per andare a buttarmi in acqua. Ho fatto tanti sport, dal nuoto (a livello agonistico) al basket (ho vinto un titolo italiano nel 1970) e poi arrampicata, speleo e sci, dove purtroppo a causa di un grave incidente, quasi ci lasciavo una gamba.
Rimessa in piedi dopo due anni d’interventi e gessi vari sono tornata a fare l’unica attività che mi era ancora concessa… l’immersione subacquea. Mi racconto: ho iniziato nel 1973 in tempi in cui la subacquea era ancora sport per “duri e puri” e le donne poco considerate (a parte alcune ma già allora mitiche come Lotte Hass, e poi Dee Scarr la fotografa, o Sylvia Earle la scienziata, Valerie Taylor una pioniera, e altre che sono con tutto il diritto nella Women Divers Hall of Fame).
Quindi ho iniziato senza avere alcun brevetto, fidandomi delle mia direi “innata” acquaticità, guardando quello che facevano quelli che nel frattempo avevo conosciuto. Infine mi iscrissi al corso federale per sommozzatori sportivi di primo grado e ricordo che alla selezione in piscina eravamo presenti in 100 tra cui 5 (giuro eravamo cinque) donne che però passarono me compresa la selezione.
Corso durissimo a livello di quello che facevano i vigili del fuoco o la polizia (erano gli stessi istruttori)… però arrivai in fondo e il resto venne da sé negli anni a venire.
Continuando a immergermi ho salito tutto la scala federale, sono arrivata al primo livello istruttori nel 1980 e sono arrivata al massimo livello di Istruttore Internazionale di 3° grado e Direttore di Corso della Scuola Federale di Milano nel 1991. Sempre continuando a immergermi un po’ dappertutto. Sotto i ghiacci, o nei Laghi alpini… tra cui per una settimana nel Lago Nero in Alta Val Grosina a 2.500 m s.l.m. per conto dell’Università di Chieti con un gruppo di sommozzatori (e guarda un po’ tanto per cambiare unica donna) per diversi test – immersioni in muta umida, naturalmente!
A proposito di test, nel 1994 a Malta con il Dan facendo immersioni con i computer ciechi per i test sulle microbolle. Tantissime immersioni tra il 1977 e il 1990 nei laghi d’Iseo – Maggiore – Como- Varese – Mergozzo… Varie esperienze in diversi laghi alpini tra cui Lago di Carezza per conto di un’azienda di abbigliamento (anche li in umida). Poi quelle al caldo… Mar Rosso decine di volte (da Sharm – Hurghada – Marsa Alam fino ai reef a sud del Sudan, ai Caraibi… da Cuba a Guadalupe a Curacao a Bonaire dove ho avuto la fortuna di fare immersioni con Dee Scarr, la fotografa naturalista di National Geographic. Maldive… quasi tutti gli atolli (meno Suvadiva) in diverse crociere. Filippine… Puerto Galera. Mexico, Belize e Yucatan con diverse immersioni a Cozumel e nei cenotes. Le isole Azzorre in mezzo all’Atlantico con acqua fredda e corrente costante… con vista sulle balene. Mediterraneo… quasi tutto da Malta a Grecia a Rodi la Tunisia e poi le isole da Lampedusa (allora quasi irraggiungibile se non con il traghetto) alle Tremiti, alle Eolie alle Egadi e le isole dell’arcipelago Toscano. Un discorso a parte meritano i relitti. Devo confessare che non li amo molto ma per dovere o altro ne ho fatti moltissimi tra cui cito: Nasim – Haven – Bolzaneto – Kt – Marcella – Genova. Altri svariati a diverse profondità un po’ in giro per il mondo ma, quelli che ho citato sopra, sono stati fatti tutti in aria (profondità max 70 m) con tempi di deco abbastanza lunghi in aria.

Ho raggiunto un numero ragguardevole di immersioni. Quando ho iniziato era molto importante essere “fisici” perché le attrezzature erano limitate (basti pensare che le prime 300 immersioni le ho fatte senza utilizzo di gav, o computer o altro ma solo profondimetro/orologio e tabelle; però già allora avevo le mitiche pinne Jetfin che avevo comprato a Marsiglia perché in Italia non c’erano ancora e grazie a quelle riuscivo a fare cose egregie. Un discorso a parte meritano le mute che se confrontate con quelle di oggi erano patetiche senza alcun polsino a fare da tenuta (anzi c’erano delle belle cerniere per toglierle meglio). E poi non c’erano modelli da uomo o donna. Solo negli anni ‘80 hanno cominciato a comparire ma comunque non erano lontanamente paragonabili a quelle ipertecnologiche e calde di oggi. Le Bombole… c’era solo il bibombola con un attacco a 150 atm e astina della riserva. Poi sono arrivati i biattacco e negli anni 80 sono comparsi i monobombola. Chi di noi non ricorda le Aralù della Technisub? Un’incubo… in alluminio!
Le immersioni erano – volenti o nolenti – tutte quadre, si considerava cioè tutto il tempo trascorso, dalla partenza dalla superficie alla prima tappa di deco, come tutto passato sul fondo, così quasi tutte le immersioni avevano sempre 40-50 e passa minuti di deco e a volte molti di più. Bisognava tenersi a mente la massima quota toccata sott’acqua perché i profondimetri a lancetta non avevano la lancetta di massima profondità raggiunta (sono arrivati negli anni 80 anche quelli per merito della S.O.S., la mitica azienda torinese). I GAV, quando infine sono arrivati, erano un incubo anche quelli – ricordo il Technisub in neoprene, lo Scubapro, il Fenzy – si indossavano separatamente dalle bombole e avevano una bomboletta da mezzo litro di capacità che era di pura emergenza. Quindi chi la apriva si trovava sparato e in orbita sulla Luna con terrificanti problemi di sovradistensione e di deco mancate. Erano cioè ideati per la sola emergenza, della serie “muoio sul fondo o muoio in superficie?” Nessuno osava toccarla quindi si gonfiavano a bocca con il corrugato di cui erano dotati. Poi sono arrivati grazie al cielo quelli che si collegavano alle bombole più o meno come quelli di oggi anche se molto meno tecnici.
Era perciò gioco forza essere fisici… tra l’altro noi sub avevamo trovato un sistema abbastanza valido per risalire dal fondo senza arrancare se lontani dalle pareti: usavamo un sacchetto di plastica abbastanza resistente e lo mettevamo sopra la testa… le bolle di scarico dall’erogatore andavano lì dentro e questi “accrocchi” diventavano dei salvagenti da profondità. Una volta raggiunta una quota gestibile si ripiegavano, si mettevano nella manica della muta e via.
Bisogna poi dire che i diving erano ancora una cosa sconosciuta: i primi sono arrivati attorno agli anni 85-90, sia in Italia che all’estero, così o si faceva parte di gruppi fortunati che usavano i propri gommoni o ci si affidava a partenze da terra o dalle barche dei pescatori che, dopo essere tornati in porto dalla pesca, ci portavano fuori. Ricordo “Garibaldi” di San Fruttuoso che ci portava fuori con la barca a remi e poi ci veniva a riprendere un’ora o due dopo… pensate se avessimo avuto un’emergenza! Altro che Guardia Costiera o elicotteri! Nel 1979 a Lampedusa (raggiunta dopo un viaggio da Porto Empedocle di svariate ore con mare molto mosso) abbiamo rischiato di finire male dato che l’unico compressore dell’isola caricava in maniera pessima e filtrava olio nelle bombole che noi respiravamo: mal di testa da paura! E pulizia e lavaggio bombole ritornati a casa… E infine – ma non da ultimo – le macchine fotografiche e le fonti di luce: flash elettronici non esistevano e si usavano i flash a lampadine che si portavano in un retino appeso o al polso o alla macchina fotografica. Per noi era un modo di controllare la narcosi quando a profondità largamente superiori ai 50 m cercavano di scegliere la lampadina migliore. Gli erogatori… allora c’erano già i bistadio (per esempio il famoso Scubapro Mark V militare o il Poseidon della Cressi o il Jetstream della Poseidon) ma i migliori erano i monostadio/bistadio dorsali come gli ultimi della serie Dräger o i Mistral e Royal Mistral che erano degli apparecchi con due corrugati e uno stadio tipo “padellone” che era montato sulla rubinetteria dietro la schiena del sub. Ormai da tempo abbandonato, estinto dalla generazione degli erogatori a due stadi o bistadio, era composto da una calotta di gomma sigillata in una camera stagna al cui interno c’era una valvola comandata da una leva; quando si respirava sottraeva il gas alla camera che collassava tramite la calotta di gomma aprendo la valvola di erogazione che permetteva all’aria in pressione della bombola di entrare nella camera. Quando si finiva la respirazione il gas espandeva la camera tramite la calotta e l’asta chiudeva la valvola. L’espirazione avveniva tramite una valvola detta a becco d’anatra. Anche questi hanno avuto a modo loro un’evoluzione prima di essere messi da parte e ce ne sono con un funzionamento leggermente diverso. Davano comunque una quantità d’aria incredibile rispetto a quelli di oggi, bastava alzare un po’ la testa inspirando… e comunque non si guastavano mai.

La subacquea ha avuto un enorme sviluppo a partire dagli anni ‘90 più o meno… In Italia prima c’erano la Fipsas e la Fias, organizzate a livello federale senza alcun scopo di lucro e con poco o scarso interesse a creare allievi. Ricordo ancora i vecchi istruttori quando raccontavano fra loro di aver mandato a casa tutti o quasi gli allievi. Una mentalità completamente diversa.
E’ un mio motivo di vanto essere credo tra le prime dieci donne in Italia diventate istruttori federali… (quindi assolutamente non retribuite ma solo tesserate e con l’obbligo di lavorare solo ed esclusivamente per la didattica nazionale) e questo motivo fu poi negli anni 2000 causa delle mie dimissioni dalla scuola federale per poi passare alle didattiche Nase e Andi + Dan.
Quando mi presentai al Centro didattico Nazionale di Nervi – che era quello preposto in Italia per formare gli istruttori Fipsas – l’allora Direttore dei corsi Duilio Marcante mi guardò e mi disse: “Beh, io dico sempre che un sommozzatore formato vale due uomini… adesso con lei cosa dico?” Eppure ero credo la quarta o quinta donna che era andata al Centro a sostenere il massacro della settimana di prove durissime in mare e fuori. Allora pesavo scarsi 50 kg e per me sostenere un bibombola con 5 kg di zavorra in costume da bagno era una sofferenza. Ma ero dotata di un orgoglio smisurato per cui strinsi i denti e passai e lui si congratulò con me. Quest’uomo – per chi non se lo ricordasse – è stato il padre della subacquea italiana e mi dispiace che ormai quasi nessuno lo citi più: a mio parere perdere la propria memoria storica è perdere quello che siamo.
Sorrido perché ora si guarda tanto alle didattiche straniere quando nel 1950 senza quest’uomo forse non ci sarebbe stata subacquea, quella sportiva intendo, a parte quella militare della quale pure lui era uno degli addestratori. Ha formato tra l’altro il corpo dei carabinieri subacquei e concorso a formare quello dei vigili del fuoco.
Ora passo a raccontare la nota dolente della mia storia subacquea e cioè l’incidente che ho avuto nel gennaio del 2011 e che fa capire come tutto il sapere acquisito può non bastare e lasciarci ignari ma soprattutto indifesi davanti al nostro fisico che all’improvviso ci tradisce.
Un’immersione come un’altra anzi forse più facile a una profondità modesta entro i 45 m con un tempo di permanenza modesto (sotto i 60 min) con un’attrezzatura di tutto rispetto e cioè muta stagna con sotto dedicato in thinsulate… doppio erogatore e tutto il resto… Una attrezzatura mostruosa se penso ai tempi andati… ma va beh, è arrivata la sberla! Camera iperbarica per 12 ore con tabella 6 US Navy e poi una settimana a Milano per un’ora al giorno con la sentenza di MDD Neurologica! Quello che però mi turba è che non c’è un perché. Il mio fisico è in ordine compreso il famoso FOP (Forame Ovale Pervio, ndr). Ne ho parlato con diversi medici iperbarici tra cui l’amico Sandro Marroni con cui ho condiviso una settimana di ricerca medico subacquea a Malta ma non si sa. Il destino? Il corpo forse usurato? Stanchezza? Età? Tutto può essere. Prudenza si impone e così “no” alle ripetitive nell’arco delle due ore come si fa di solito nei full day, utilizzo il più possibile di miscele iperossigenate (Ean 50 in risalita e/o Ox) ecc. E poi mah… forse è il destino che mi ha presentato il conto.

Per finire questo è il mio “palmares” subacqueo:
Moniteur 3 stelle Cmas
Moniteur 3 Stelle Cmas Nitrox Avanzato
Trainer Nase
Direttore di corso presso la scuola fed. Sommozz. Di Milano con autorizz.all’insegnamento per nitrox-Aro-mute stagne-fuori curva-e corsi da 1° grado ad istruttore
Dan Oxygen provider
Istruttore Andi Safe Air
Più tutta una serie di brevetti come diver.

Credo di aver detto tutto quanto ricordo e che può essere d’interesse.
Vorrei chiudere dicendo che forse è sbagliato essere passati dalla rigidità dei nostri giorni al permissivismo di oggi; forse c’è di mezzo troppo business, ci sono più istruttori che allievi e la gente ha troppa fretta in tutto … per poi pagarne le conseguenze, a volte con la vita.
Sinceramente, anche se ormai mi sono ritirata dalla subacquea ufficiale e didattica, io vedo troppa gente sulle barche che è semplicemente inadeguata, non hanno la testa né l’addestramento giusto, non hanno acquaticità e si affidano solo alle attrezzature che trattano come immondizie ed io ancora inorridisco quando vedo erogatori trascinati nella sabbia o dimenticati al sole… Se succede un incidente, un imprevisto, come si comporta questa gente? Fanno le visite mediche? Non dal medico di base ma in un centro dove fai almeno l’Ecg sotto sforzo, per esempio… Basta poco laggiù perché un contrattempo se mal affrontato diventi una tragedia. Dovremmo sempre ricordare che siamo degli ospiti in un ambiente che non sarà mai il nostro. Comportiamoci di conseguenza.»
(Fiorella Bertini)

3 Comments

  • Fabio Passera
    Posted 8 Marzo 2017 14:14 0Likes

    Grande articolo, sono in pieno accordo con il tuo pensiero, specie nell’ultima parte del tuo articolo dove tratti l’argomento preparazione visite mediche. Mi inchino allo stupendo racconto di pillole di storia che, onestamente, non conoscevo.

  • Stefano
    Posted 16 Febbraio 2019 16:39 0Likes

    Bellissimo articolo, pieno di punti in comune con la mia esperienza, non ultimo l’etá….

  • Luigi Zagati
    Posted 29 Marzo 2019 1:21 0Likes

    ciao Ho letto il tuo racconto che condivido pienamente ! hai omesso una piccola cosa , tu parli di FIPSAS
    e di FIAS omettendo che prima di chiamarsi così la FIPSAS si chiamava semplicemente FIPS!, invece la Fias è nata da iscritti dizzenzienti che hanno voluto creare una nuova federazione.
    io il corso l’ho fatto con la FIPS il primo grado, nel 66, mentre il secondo grado l’ho fatto nel 1969 in piscina a Torino ed ho avuto come commissione esaminatrice sia Marcante che Luigi Ferraro che ha apposto la firma sul mio brevetto!.
    ora ho quasi 72 anni e continuo la mia attività di sub, ho preso altri brevetti SSI e C:M:A:S. – ma pur avendo le capacità sportive non ho mai preso il brevetto da Istruttore per due motivi uno è che non mi potevo permettere di andare una settimana a nervi, e secondo perché vedevo già che troppa gente dava troppe arie al brevetto era cosa diventava troppo business!

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