L’immersione.
Scesero nell’ordine anche Edoardo, Mauro e Michele, lungo la cima che li avrebbe condotti a fianco al cannone in modo da sorprendere anche loro. L’affusto, la canna e il profilo geometrico dello scudo protettivo, corrispondevano fedelmente a quelle dei piani costruttivi e delle foto storiche, esaminate la sera precedente. Senza dubbio, eravamo di fronte al cannone 100/47 OTO modello 1931, con un impianto però modello 1935.
A causa della ridotta visibilità, restava da stabilire ancora se ci trovavamo nella zona prodiera o in quella poppiera della nave. La domanda trovò una risposta, dopo poche pinneggiate, quando apparve la sagoma di un secondo cannone, installato ad un livello più basso rispetto a quello appena incontrato. Ricoperti da una moltitudine di reti da pesca e da un pesante strato di concrezioni, erano installati su due piani di coperta differenti, uno superiore ed uno inferiore, orientati nella medesima direzione e con le canne elevate verso il cielo. In quel preciso istante, ognuno di noi riconobbe i due cannoni installati a poppa della Regia Torpediniera Andromeda.
Arrivati all’estremità della poppa, dove il relitto scompariva sotto una coltre di sabbia, tornammo indietro, proseguendo l’esplorazione verso il centro della nave. Dopo pochi metri, scendendo sul lato sinistro, incappammo in un altro elemento che andava a rinforzare l’identificazione. Sotto uno spesso strato di sedimento, Edoardo e Massimiliano riconobbero due tubi lancia siluri da 450 mm in dotazione all’Andromeda. Proseguendo, incontrammo una moltitudine di lamiere contorte, dilaniate e irriconoscibili, uno scenario spettrale: eravamo nel punto nevralgico, in cui avvenne l’esplosione che provocò l’affondamento. Il siluro, lanciato dal Fairey Swordfish inglese, centrò l’Andromeda sotto il fumaiolo e provocò una deflagrazione che spezzò la nave in due tronconi, strappando dalla coperta l’intero ponte di comando. Con qualche difficoltà d’orientamento seguimmo il profilo del relitto, intuendo un cambiamento di direzione di 180°, confermato dall’osservazione della bussola. In quel momento, stavamo pinneggiando verso la zona prodiera, superato un tumulto di cime d’ormeggio. Questa sezione della nave era distanziato di pochi metri da quella di poppa: in sostanza le due estremità erano orientate nella medesima direzione, come se il relitto fosse chiuso a libro. A prora apparve il terzo cannone, questa volta scoperto da reti, però con lo scudo di protezione collassato. Sopra la canna, era posata una moltitudine di stelle serpentine (Ophiotrix fragilis) e gigli di mare (Antedon mediterranea), questi ultimi crinoidi colorati che, disturbati dai fasci di luce, si muovevano freneticamente, creando una scenografia singolare. Sotto l’impianto, invece, notammo la presenza di numerosi proiettili, accatastati e ricoperti da spugne gialle e arancioni (Axinella polypoides), che, illuminate, donavano un tocco di colore all’ambiente buio circostante. Durante l’esplorazione della zona esterna il relitto, Edoardo notò un oggetto metallico, dalla forma circolare, fuoriuscire dalla sabbia poco lontano dalla murata di dritta. Una volta raggiunto e illuminato, riconobbe un particolare strumento di navigazione. Era la cuffia della chiesuola bussola di rotta, cioè la parte superiore della struttura di sostegno e di protezione della bussola magnetica, priva oramai sia del cristallo per la visione della rotta da parte del timoniere, che delle sistemazioni dei lumi per la visione notturna.