Forse non tutti hanno presente che l’uomo di Neanderthal, o Homo neanderthalensis, è stato una sorta di ominide preistorico del quale si è per del tempo creduto di essere i discendenti. Prima di scoprire che invece apparteneva a una specie di ominide completamente diversa dalla nostra, essendo noi discendenti dal cosiddetto Homo sapiens. Rispetto al quale i Neanderthal furono relegati dai meccanismi evolutivi in un binario morto: ebbero cioè la peggio, fino a estinguersi.
Eppure erano stati i primitivi abitatori delle terre europee, compreso ciò che c’era all’epoca della nostra penisola, mentre i Sapiens – cioè oggi noi stessi! – sarebbero sopravvenuti, essendo stati di originaria derivazione centro africana. Fatto sta che i Sapiens prevalsero, determinando l’attuale specie umana.
Ma i Neanderthal avevano fatto in tempo a prosperare e anche a lasciare traccia di sé, e in modi perfino bizzarri, oltreché sorprendentemente evoluti.
Le loro abilità manipolatorie avevano raggiunto un livello sufficiente alla fabbricazione di diversi tipi di utensili e oggetti, tra cui: asce a mano, dette anche “amigdale” per la loro forma a mandorla, ottenute scheggiando grossi pezzi di selce; lance, ricavate da punte di selce più piccole; denticolati, ossia selci che terminavano non a punta bensì con una dentellatura che ne suggerisce l’impiego come seghetti; raschiatoi e perfino un cosiddetto “flauto”, sebbene si trattasse non di uno strumento musicale bensì di un accendino (nei fori s’inserivano i legni da vorticare per produrre il fuoco…).
Ed è appunto ai raschiatoi e in generale agli strumenti da taglio, che loro presumibilmente usavano soprattutto per scarnificare la selvaggina, che si aggancia la sorpresa subacquea di oggi. In che senso? Ebbene, assodato che usassero quali raschietti o lame anche dei gusci lavorati di molluschi fasolari, ovvero le valve del Callista chione, – che lavoravano e affilavano con pietruzze usate a scalpello – si è osservato solo di recente come la maggior parte fossero stati raccolti a riva, dunque da molluschi già morti e spiaggiati, le cui conchiglie sono riconoscibili in quanto prendono colori più spenti e opacizzati, nonché un po’ abrasi dallo sfregamento con la sabbia.
Ma… c’è sempre un ma: circa il 25% – ossia almeno un quarto – dei gusci ritrovati sono rimasti invece di colorazioni più cariche e lucenti, senza segni di abrasioni, caratteristiche queste dei molluschi ancora vivi e appositamente uccisi sul posto, prima che giungessero a esaurimento naturale del loro ciclo vitale. Il che significa … pescati sul fondo!