Il mare era un nuovo orizzonte?
«Esatto, anzi era qualcosa di più, era un insieme di nuovi orizzonti. E noi – per primi – andammo a prenderceli.
In quel cammino trovavamo anche nuovi amici e compagni con cui avevamo stabilito un rapporto chiuso di collaborazione stretta, fedele e felice.»
Va bene, foste i primi… e su questo non ci piove! Ma che effetto fa oggi sapere d’esser stato il primo?
(Al nostro principe dev’essere piaciuto quel “su questo non ci piove” e lo ribadisce divertito, con un sorriso di soddisfazione che si fa quasi impertinente…)
«Esserlo stato è un qualcosa che non si dimentica e si commenta da sé. Tutta la nostra produzione, tutto ciò che abbiamo realizzato e mostrato, sta lì a testimoniarlo. Ed è bello aver segnato il tempo raccontando il mare con le immagini filmate, aver aperto nuove vie alle forme d’espressione, alla comunicazione. Che poi in tanti hanno seguito, ovunque nel mondo, in innumerevoli altre produzioni. Lavori che però avrebbero recato per sempre l’impronta di quella nostra spensierata e ardimentosa intraprendenza da pionieri!»
Vi divertivate dunque?
«Proprio così! Ci divertivamo, soprattutto. Moltissimo. Perfino sapendo che rischiavamo la pelle tutti i giorni, ogni volta.
C’erano note tante sventure capitate ad altri subacquei “della prima ora”, diciamo così… Eppure perfino questo faceva parte del gioco, non è mai stato un deterrente tale da indurci a desistere. La passione era più forte!»
Temevate più gli squali o l’embolia?
«L’embolia senz’altro, per l’eccesso delle permanenze sott’acqua. Perché ciò che si ignorava su cosa succedesse nell’organismo respirando sotto il mare era molto, molto più di quanto si sapesse. E c’era sempre il rischio di sbagliare senza neppure rendercene conto. Perfino la compensazione dell’orecchio era un mistero che nell’immersione col respiro trattenuto s’infittiva ancor di più. Fortunatamente dalle ore in apnea e da tanta temerarietà ho avuto come unica conseguenza la sordità!
Gli squali no, non sono mai stati un problema. Erano rari già allora… sono stati spazzati via da secoli di pesca, di frodo e ufficiale!»
Come mai proprio le Eolie come primo set cinematografico?
«Avevamo prima cercato di operare a Ustica e su altre piccole isolette dei dintorni di Palermo, che già erano magnifiche, ma le Eolie costituivano un autentico “Paradiso del mare”, di una bellezza tanto sconfinata quanto selvaggia. Assoluta. Così il nome stesso della società di produzione cinematografica che fondammo, la “Panaria Film”, lo prendemmo da quei luoghi.
Con la mia cinepresa Arriflex 35 mm, tedesca della casa Arri – unione delle iniziali di Arnold e Richter – che ero riuscito a scafandrare in ottone per poterla azionare in immersione feci il resto… era la sola apparecchiatura in grado di rendere appieno la bellezza delle immagini naturali che coglievamo. Ho ancora tutto funzionante, conservato qui a Villa Valguarnera, dove è nata la “Panaria Film” e dove l’omonima fondazione culturale alla quale ho donato tutto il materiale ha intenzione di realizzare un museo multimediale.»
Per quanto tempo potevate filmare là sotto in una sola immersione?
«Dipendeva dalle situazioni in cui ci trovavamo e da cosa dovevamo realizzare in quel momento. E anche dalle condizioni ambientali, dalla temperatura dell’acqua. Perché sa, eravamo giovani leoni, ma non invulnerabili… e le protezioni erano quel che erano. Nei primi tempi si andava in apnea, poi – modificando un Aro – elaborammo un marchingegno ad aria per respirare sott’acqua… Tutto ciò proprio per assicurare alle riprese filmate tempi d’immersione sufficientemente lunghi.»
Dopo la prima scelta del Mediterraneo avete frequentato altri mari?
«Certo… Per esempio facemmo noi a nostre spese anche la prima spedizione al mondo in Mar Rosso, capitanata da Bruno Vailati, producendo il film “Sesto Continente”, per il quale scelsi un giovane promettente al quale insegnare le riprese subacquee: si chiamava Folco Quilici…»
Un’ultima domanda, poi non la stanchiamo più… La sua maggior soddisfazione in ciò che fece?
«Essere riusciti a fissare le immagini subacquee con la cinepresa! Era un modo per rendere eterni quei momenti, quelle riprese. Ciò che avevamo potuto vedere noi da quel momento in poi avrebbero potuto vederlo tutti, per sempre, grazie alle riprese che avevamo creato noi imprimendole nella pellicola e rendendole così riproducibili. Fu qualcosa in grado di dare senso a un’esistenza.»
Poi lo vediamo alzarsi e prendere commiato da noi esclamando con malcelato sollievo «…mi avete “torturato” abbastanza, ora ho voglia solo di un bel lettuccio comodo e accogliente che finalmente mi dia ristoro!»
Sul momento credo d’aver pensato a una successiva ulteriore opportunità d’incontro con lui e che sarebbe stato bello cogliere la sua espressione alla lettura di questo articolo.
Invece, di lì a pochissimi giorni dai momenti di quest’ultima intervista, il principe sottomarino Francesco Alliata di Villafranca ci avrebbe salutato per sempre.
Certo, avremmo potuto aspettarci più informazioni, ricchi dettagli, mirabili aneddoti. Aperture maggiori. Ma in fondo li ha già resi patrimonio comune nel suo libro di memorie “Il Mediterraneo era il mio regno”, Neri Pozza editore, con l’editing della figlia principessa Vittoria, uscito appena qualche giorno prima della nostra chiacchierata con lui, un saggio – un documento – straordinario come l’esistenza non comune di quest’uomo. Avremmo potuto sperare che la stanchezza dell’età e le condizioni di salute non avessero preso così presto il sopravvento sul nostro incontro rendendolo a tratti faticoso e stentato nel dialogo. Eppure… Mettendomi ora a riascoltare le sue parole registrate per trascriverle, gli rivedo illuminarsi quei suoi occhi di mare nel sorriso più compiaciuto e simpatico dell’universo e tanto basta a farmi sentire fortunato forse allo stesso modo di come dovette essersi sentito fortunato lui quando filmò per primo al mondo da sotto la superficie del mare un pesce spada nuotare libero nel suo ambiente naturale. Allora mi sorprendo a pensare che ogni ricerca è un incontro non stimabile in distanze né in tempo ma in come può cambiarci dentro. Capita così che dopo la ventura di un incontro del genere affiori comunque una maggior consapevolezza dell’unicità nostra e di ciò cui destiniamo noi stessi, la nostra vita. Di ciò che facciamo con dedizione, di ciò che amiamo. Del fatto che dobbiamo rispetto alle nostre passioni, a tutte le passioni più vere. Alla loro sacralità, per noi salvifica più spesso e profondamente di quanto possiamo immaginare o prevedere. Pensiamoci ogni volta che ci infiliamo muta, maschera e pinne, ogni volta che azioniamo la nostra action-camera grande quanto un accendino, con le sue inesauribili lucette led. Perché quella in quell’attimo ridiventa un po’ la nostra – la sua – ingombrante, fascinosa, difficile, carissima Arriflex 35 e la fa rivivere nelle nostre mani. Perché – come scriveva un altro principe, in quel “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry che in tanti abbiamo letto ma in troppi dimenticato – “è il tempo che hai dedicato alla tua rosa che fa di lei una rosa così importante”. (R. Barluzzi, intervista del 24 giugno 2015)
Quando la scrittura sapiente supporta un autentico coinvolgimento e la passione il risultato per il lettore non può essere che la commozione. Bravo Romano!
Tutto bene salvo questo cerimonioso e servile sottolineare continuamente i titoli di principe e di principessa, dimenticando che la Costituzione ha spazzato via re e nobiltà feudale e recente. Si deve apprezzare un uomo per le sue azioni, non per un titolo o per le sue ricchezze.
Ma si sa, servi si nasce, salvo riscattarsi e diventare liberi e servi solo dei propri princìpi, non di prìncipi.
Caro Mario Galasso, il suo distinguo tra “prìncipi” e “princìpi” ci farebbe venire in mente storielle di esercizio d’italiano scritto sul tipo del detto “si vive d’istanti e d’istinti, ma anche distanti e distinti”, se non fosse che accostare il progetto di “SerialDiver” e di “MediAterraneum” a qualsivoglia forma di servilismo in un articolo del genere ci pare proprio di chi non abbia letto nulla di tutto il resto che abbiamo già pubblicato.
In tal caso la invitiamo a farlo e magari scoprirà di quante cose ci siamo già occupati in maniera così libera da vincoli e padroni da fare invidia a molti, sicuramente ai periodici cartacei, dei quali – a scanso di equivoci con quasi tutti gli altri siti web – ci siamo dati per scelta la medesima configurazione di testata giornalistica registrata in tribunale.
Ci sarebbe peraltro anche da dire che l’abolizione costituzionale dei titoli nobiliari è entrata in vigore il 1° gennaio 1948 e che a quel momento la maggior parte delle primissime imprese cinematografiche subacquee del principe Alliata erano già state compiute o comunque avviate, com’è chiaramente riportato nell’articolo.
Ma il punto è un altro e consiste nel fatto che la testimonianza del protagonista e di tutti i materiali della Panaria Film traccia i contorni di una vicenda tutta italiana che intreccia come nessun’altra la cultura, la tecnica, la comunicazione e le attività subacquee e che solo usare determinati appellativi al posto di altri, evitando di ometterli, ci avrebbe permesso di contestualizzare al meglio la storia dell’epoca proprio come meritava, riportando esattamente le atmosfere di quando perfino nel parlare si era differenti.
Tutto ciò per farla conoscere, quella storia, nella convinzione che i subacquei italiani tutti dovessero esserne più consapevoli e fieri e con ciò apprezzarne e tramandarne i valori.
Perché, vede, talvolta… “princìpi” e “prìncipi” coincidono. Ben oltre i titoli.