CESARE BALZI (capo spedizione)
«Mancava solo un tassello per completare la mappatura dei relitti italiani affondati nella baia di Valona dopo la localizzazione della corazzata Regina Margherita e la nave ospedale Po nel 2005, il cacciatorpediniere Intrepido e il trasporto truppe Re Umberto nel 2007, la motonave Rovigno nel 2008 ed il piroscafo Luciano nel 2010. Tutti ritrovamenti e identificazioni di relitti di alta valenza storica, grazie ai quali erano tornate alla luce vicende ed episodi dimenticati, sia del Primo che del Secondo Conflitto Mondiale. Ma la posizione esatta di dove si trovasse il relitto della torpediniera Andromeda, con il suo carico di cinquanta marinai perduti nell’affondamento, ancora mancava. Le coordinate geografiche dove andare a controllare le avevo gelosamente custodite dal maggio 2007, sicuro che prima o poi sarebbe giunto il momento per un’immersione esplorativa. Difatti, undici anni dopo la prima Iantd Expeditions in Albania, l’occasione giunse il dicembre scorso, quando, nell’ambito di una spedizione organizzata con l’obiettivo primario di commemorare il centenario dell’affondamento della Regia Nave Regina Margherita avvenuto nel dicembre 1916, venne conseguito un secondo obiettivo: l’identificazione certa e definitiva del relitto dell’Andromeda.
Varcai assieme all’Ammiraglio Giuseppe Celeste, presidente dell’Associazione Venus – Archivio Fotografico Navale Italiano, il cancello della Leonardo Divisione Sistemi Difesa a La Spezia, il pomeriggio del 28 novembre. Ad attenderci l’ingegner Giuliano Franceschi, consigliere e membro del comitato scientifico dell’Associazione Museo della Melara e la dottoressa Alessandra Vesco, custode dell’archivio. La visita, presso gli stabilimenti della ex OTO Melara Spa, era stata fissata dall’Ammiraglio Celeste, informato che nell’area esterna delle officine era custodito un pezzo del cannone 100/47 millimetri OTO modello 1931, in dotazione alla torpediniera Andromeda. Dopo aver ricevuto la notizia telefonicamente, rimasi in trepida attesa per qualche giorno, poiché sarebbe stato utile visionare il pezzo d’artiglieria, prima di partire alla volta dell’Albania. L’Andromeda, infatti, era provvista di tre pezzi, uno a prora e due a poppa e, qualora ne avessimo localizzato i resti, il risultato della comparazione tra la tipologia di cannoni, quelli sul relitto e quello preservato alla Spezia, sarebbe stato elemento sufficiente per assicurarsi l’identificazione ufficiale della nave.
A quel punto, conoscendo l’episodio della nave affondata all’interno della baia di Valona e avendo un punto da verificare, avevamo di fatto inserito l’Andromeda come un secondo obiettivo di ripiego all’interno della spedizione, qualora, arrivati sul posto, non avessimo trovato le condizioni marine favorevoli per inseguire il primo obiettivo, quello del relitto della Regina Margherita, ubicato al di fuori della rada di Valona, in mezzo al Canale di Saseno, esposto a volte a correnti e marosi sfavorevoli. Ora, a bordo del traghetto che ci stava accompagnando proprio in quei luoghi, non restava altro che raccogliere tutte le informazioni acquisite e condividerle con gli altri componenti della spedizione. Seduti attorno a un tavolo nel salone passeggeri, trascorremmo le prime ore della navigazione a studiare con grande interesse fotografie, documenti storici e disegni tecnici della torpediniera, per poi andare a coricarci nelle rispettive cabine solo a tarda ora, quando il nostro traghetto era già al centro del Canale d’Otranto.
Il nostro traghetto entrò nella baia, attraversando il canale di Saseno, alle 7 del giorno seguente. Dal ponte della nave, con un briciolo di soddisfazione, osservammo i profili della costa: sul lato di sinistra l’isola appunto di Saseno, su quello di dritta la penisola del Karaborum, e la rada con tutto il suo patrimonio sommerso. Alla vista di quei luoghi, riaffiorarono emozioni e ricordi. Dopo anni, infatti, Massimiliano, Mauro, Michele e io tornavamo a Valona, Edoardo alla sua prima esperienza con noi nella terre delle aquile. Una volta sbarcati, il primo ostacolo da superare furono le pratiche di sdoganamento. Le comunicazioni dei giorni precedenti con le autorità locali di Valona, a conoscenza dello svolgimento della nostra attività autorizzata dal Ministero della Cultura di Tirana, ci permisero di superare senza intoppi, quei momenti comunque sempre d’apprensione: controllo di passaporti, documenti delle autovetture e liste delle attrezzature. Appena oltrepassata l’uscita del porto comunicai il nostro arrivo al Consolato Generale d’Italia a Valona che mi fornì, a titolo cautelativo, il numero per un servizio medico di fiducia ed uno per le chiamate di emergenza per gli italiani all’estero. Da quel momento era iniziata la nostra spedizione in terra d’Albania. Con i due furgoni Mercedes Vito di Nautica Mare Verona e Sea Dwellers Roma, carichi all’inverosimile, percorremmo, tra una buca e l’altra, dieci chilometri di strada costiera ancora in corso di riqualificazione, fino a raggiungere il Paradise Beach Hotel, situato sul litorale della baia in località Radhimë, utilizzato come base per la Iantd Expeditions 2007. Tutto testato ed efficiente: camere ampie per ogni componente della spedizione, prese di corrente elettrica in abbondanza per le ricariche di tutte le apparecchiature, terrazzi dove poter stendere le attrezzature umide, un ottimo ristorante annesso, l’utilizzo di un magazzino per il ricovero di tutte le attrezzature e un’area esterna a disposizione per la ricarica, isolata dal resto del complesso per non arrecare disturbo alla clientela.
Partimmo alla volta del versante occidentale della penisola del Karaborum e dopo circa un quarto d’ora eravamo nell’area di ricerca, discostati di circa trecento metri da un punto riportato sulla carta nautica, alla profondità di 45 metri. Accese le strumentazioni di bordo, GPS e ecoscandaglio, non dovemmo attendere molto. Sulla verticale del punto geografico tenuto nel cassetto dal lontano maggio 2007, infatti, alla profondità di 53 metri, apparve la sagoma di un relitto. Ci trovavamo a settecento metri dalla fascia costiera del Karaborum e poco più a sud il sole stava tramontando alle spalle della sella di Petrunes, il valico dal quale, nel marzo 1941, provenivano gli aerosiluranti inglesi per attaccare il naviglio italiano ormeggiato in quell’area…
Ma ora, per proseguire il racconto e per far loro esprimere la propria impronta personale sulle rispettive sensazioni circa la spedizione, preferirei che intervenissero gli altri compagni d’avventura…»