La cala era a forma di U. Subito avviso il mio compagno che vorrei pinneggiare fino alla punta per vedere com’è il paesaggio e il fondale a quell’altezza.
Pinneggiavo e guardavo giù: alghe…alghe…alghe…ci allontaniamo dalla spiaggia sempre più, aumenta la profondità e il fondale inizia a essere meno visibile. Acqua tra il giallo il verde e il bianco e una visibilità sia verticale sia orizzontale che non arrivava a 18 m.
Vedo una bella spaccatura: l’unica. Mi tuffo. Arrivata a pochi metri dal fondo, mi sfila davanti una bella cernia per andare poi a nascondersi in uno spacco che scendeva di altri 3 o 4 m e poi dritta in tana: addio cernia (ma almeno l’avevo vista)…
Arrivati alla punta estrema, l’orizzonte si apre davanti a noi: si tratta di una costa che prosegue rocciosa. Fondale basso e roccia solo nei primi metri, poi di nuovo vegetazione. Al largo vediamo due “mede” (segnalamenti galleggianti soliti a indicare allineamenti o altro-ndr). Una a 1 miglio da noi, l’altra a 2 miglia.
E qui siamo al punto di svolta della giornata. Avete presente quei punti microscopici quasi impercettibili? Quelli in cui ciò che decidi di fare cambierà tutto della tua vita. Pinneggiare lungo costa e guardare il fondale, sarebbe stata una scelta tranquilla (un po’ come dire di andare in centro a passeggiare per negozi o mettere le scarpe da trekking e arrampicare una montagna: capite cosa intendo?). Il mio compagno, che in quel momento era un po’ lontano, mi chiama a gran voce e mi dice:
“Elenaaaaaaa, andiamo alla meda?”
Punto numero 1: io amo pinneggiare.
Punto numero 2: visto che il fondale a terra non era entusiasmante, speravo in una meda che indicasse una secca.
Punto numero 3: ho risposto “ok, va bene, andiamo!”
Inizia così una “gara” per chi arriva prima alla meda. Un miglio a nuoto pinneggiando veloci, sempre più veloci. 100 m prima della meda mi fermo di colpo e guardo giù. Guardo sempre più attentamente ma del fondale nessuna traccia. Non c’era la risalita! Nessuna secca! Niente. Niente di niente. Solo noi, il mare (torbido), la meda e … qualcos’altro.
Il mio compagno, vedendo che mi fermo, si ferma pure lui. Si trovava qualche metro più avanti.
A 20 m da noi, in direzione meda, 1,2 m sotto il pelo dell’acqua c’era lui, enorme. Sopra grigio e sotto bianco. Una immagine chiaramente confusa dall’acqua torbida e allo stesso tempo esplicitamente chiara: era proprio lui.
Lo avevamo di muso e stavamo pinneggiando verso di lui. Se non mi fermavo gli saremmo andati dritti contro.
Ho guardato con un’attenzione estrema e assoluta il colore della sua pelle. Questo grigio che finisce per diventare bianco con una caratterizzazione assoluta che appartiene solo a lui.
Il mio compagno in quel momento era di spalle e non lo aveva visto, probabilmente si stava riposando per la pinneggiata e pensava che io facessi lo stesso. Lo chiamo e cercando il più possibile di mantenere un tono di voce tranquillo, gli dico queste esatte parole:
“Senti, non c’è la risalita, è una meda che indica una probabile zona di parco, rientriamo!”
Lui: “non mi importa, voglio andare a toccare la meda. Ormai siamo quasi arrivati, la tocchiamo e torniamo indietro…”
Fa per ripartire. In quel momento avevo il cuore che mi rimbombava fino nelle caviglie, il sangue veniva pompato talmente forte che avevo paura mi uscisse dal cappuccio, lo fermo e con un tono di voce gelido gli indico in direzione del ‘grande bianco’ e dico:
“guarda cosa c’è là!”
Lui mette la testa sott’acqua, lo vede subito, lo guarda il tempo di 1 secondo, tira fuori testa e dice: “cos’è?”
Dentro di me penso che sia fortunato, l’inconsapevolezza ti rende più tranquillo e se non hai paura non sbagli… lo invidiavo un po’…
Rispondo sempre con un tono di voce glaciale dicendo: “secondo te cos’è? Dai, veloci, rientriamo!”
Sembrava fosse passata un’eternità ma da quando l’ho avvistato a ora saranno passati 45 secondi. Il tempo in certe situazioni non esiste e se esiste non ha la misura che siamo abituati a dargli. Prende la misura dell’infinito, la stessa che pensiamo possa avere la vita dopo la morte…
Adesso fermati un attimo, te che leggi, e ripercorri mentalmente un riassunto di quello che ho scritto: “sveglia, colazione, viaggio in auto, camminata nel fango, pinneggiata verso la meda: squalo!” Ma te, al mio posto, che avresti fatto? Perché io me lo sono domandata una miriade di volte cosa avrei fatto e mi sono data tantissime risposte: “gli avrei fatto una foto, lo avrei sicuramente toccato, un selfie? Certo, perché no…” Eccetera. Ma porca di una miseria, avevo la go-pro infilata in cintura, era pure accesa ma il tempo di prenderla, azionarla e fargli un video, non l’ho avuto. Mi sono preoccupata solo ed esclusivamente di riportare me e il mio compagno a riva. E ti giuro, caro lettore, che anche adesso seduta a questa scrivania da dove scrivo queste parole, se penso “cosa farei la prossima volta se lo incontrassi di nuovo?” mi do le stesse identiche risposte: “gli farei una foto, lo toccherei sicuramente, un selfie? Certo, perché no…ecc”.