Qualche ora fa mi sono ritrovato a parlare – a “debita distanza”, ci mancherebbe – con il direttore tecnico di Y-40, Marco Mardollo, in vista della ripresa delle attività presso la “sua” piscina più profonda del mondo, particolarmente cara a tanti apneisti.
Stavamo facendo della fin troppo facile ironia su alcune recenti amenità che come al solito, anche quando non ci infliggiamo del male da soli come “categoria sub”, in qualche modo riescono sempre a coinvolgerci: e in questi giorni il campionario è già ampio.
Una su tutte la constatazione che, nonostante la quantità delle nuove prescrizioni in ogni campo, sembrano essersi dimenticati tutti dell’Apnea! Non è così, direttore?
«Guarda…qui ce ne siamo accorti subito e è da un po’ che penso al da farsi. In effetti possiamo dire che non si siano lette da nessuna parte contromisure specifiche per gli apneisti riguardo alla possibilità di continuare la loro pratica applicando modalità di bio-sicurezza che siano anche in funzione anti-contagio contro il coronavirus!…»
Quindi?…
«Ci sarebbe in effetti molto su cui lavorare di specifico per l’apnea… se vuoi cominciare, scrivi?»
Son qui apposta!
«Ok. Allora, partiamo dall’inquadramento del problema: l’apneista è una fonte incredibilmente intensa delle famose droplets (quelle goccioline di saliva e secrezioni varie dalle vie respiratorie che emettiamo praticamente sempre, anche solo parlando, masticando, sorridendo ecc, tantopiù starnutendo o tossendo…ndr) che potrebbero contenere e veicolare importanti cariche virali. Immagina un po’ cosa succede appena l’apneista buca la superficie di ritorno da un’apnea, in un ribollio d’acqua che si spruzza ovunque, mente lui soffia, sbuffa, magari tossisce, comunque espelle di tutto. E poi respira forte, ventila, con o senza snorkel ecc. Non visualizzi mentalmente una sorta di enorme “nuvola” tutto intorno a lui?»
Altroché! Ma allora come la mettiamo?
«La mettiamo che… hai presente la “manovra globale di risalita” che qualche tempo fa Gabriele Del Bene promuoveva, battezzandola proprio così? Se ti ricordi, tra i tanti accorgimenti tecnici che aveva previsto come metodica di efficacia e sicurezza per la gestione di tuffi profondi in apnea c’era contemplato anche il fatto che si dovesse espirare modicamente subito prima di riemergere…»
Certo, si… e la modica espirazione in prossimità della superficie aveva avuto anche in precedenza sostenitori illustri: ne ricordo uno su tutti, Jacques Mayol…
«Infatti… lui emetteva una sorta di nota prolungata, che gli permetteva di dosare la giusta quantità d’aria di cui liberarsi senza che diventasse una espirazione eccessiva e perciò rischiosa, e in modo che il tutto non avvenisse troppo in profondità ma sempre a poca distanza dalla superficie. Anche oggi moltissimi forti apneisti fanno qualcosa del genere, comunque riassumibile nel “cominciare l’espirazione ancora sott’acqua, quando stanno per emergere”.
Per non parlare del fatto che perfino la PADI, da quando è entrata a regime nella didattica dell’apnea, raccomanda lo standard di “espirare poco prima di bucare la superficie” per emergere.
Anzi, ti leggo la traduzione letterale della raccomandazione PADI: “Tu puoi espirare delicatamente appena prima di rompere la superficie, così puoi inspirare prima!”
Ed è proprio questo il punto: la manovra non soltanto predispone a riprendere precocemente il respiro perché evita di dover espellere prima tutta l’aria con cui abbiamo fatto l’apnea (e così ci fa trovare più “pronti” alla prima inspirazione del recupero all’aria aperta) ma al contempo evita o riduce drasticamente lo sbuffo, il nebulizzato, in quanto fa in modo che almeno in buona parte sia già avvenuto sotto il pelo dell’acqua! Così che le droplets vengano emesse nell’acqua e restino confinate nell’emulsione liquida.»
Ok, dunque prima nuova regola: cominciare l’espirazione di poco sotto la superficie, subito prima di riemergere!
«Si, esatto. E, siccome è bene dare riferimenti più precisi possibile, aggiungerei “tra i 20 e i 50 cm” sotto il pelo dell’acqua.»
Ma immagino avrai altro ancora da proporre…
«Infatti. Un altro comportamento secondo me molto importante è quello di cui si fa protagonista l’assistente, o comunque colui che all’interno della coppia – perché sempre in coppia bisogna continuare a praticare l’apnea – in quel momento si incarica di ricoprire tale ruolo. Ebbene, chi assiste il discesista deve riemergere sfalsato da lui, cioè subito dopo; e non di fronte, bensì dietro o di lato. L’apneista che è appena risalito, dal canto suo, dimostrerà il proprio stato di coscienza vigile mantenendo sempre le vie aeree fuori dall’acqua… una cosa che l’assistente è in grado di verificare anche da dietro.»
Dunque…riemergere subito dopo e mai davanti rispetto all’apneista. Ma sul mantenimento delle distanze che si può fare?
«Ecco, ci stavo arrivando… A parte il fatto che può aiutare una stima al volo della reciproca distanza allungare le braccia aperte sull’acqua ad angolo retto rispetto al busto e osservare che quando si sfiorano le punte delle dita con quelle del compagno che avrà assunto la stessa posizione di fianco a noi, sommando in pratica l’estensione delle rispettive braccia, potremmo già esserci. Ma ammettiamo che stando in acqua in superficie questa sia una distanza davvero minima e che sia meglio maggiorarla. Ebbene, se si assume di dover utilizzare quelle boette segnasub allungate care ai pescatori in apnea, oppure con la forma che ricorda quella dei galleggianti dei bagnini alla BayWhatch – dunque sempre affusolata da entrambe le punte – si può convenire di stare in superficie sempre posizionati alle rispettive estremità dell’attrezzo. Dal momento che questo tipo di galleggianti sono lunghi circa un metro, avremo una giusta maggiorazione della distanza interpersonale rispetto a quella risultante dalla somma di ogni braccio tenuto disteso per appoggiarsi alla boa. In pratica, così facendo, la distanza tra le teste dei due compagni d’apnea sarà sempre superiore a 2 metri. Che è quanto di meglio si può ottenere durante lo stazionamento all’aria aperta senza indossare mascherine.»